MADRE
MARIA COSTANZA PANAS
Clarissa
Cappuccina (Serva di Dio)
La
sua vocazione sembrò, in un primo tempo, affondare nell'attrattiva per una vita
mondana e brillante.
La
voce di Dio vinse. Due furono le idee dominanti della sua vita spirituale: amore
e umiltà, le due forze che trasformano da peccatori in santi.
Cercò
sempre Gesù tra le braccia di Maria.
La
serva di Dio Madre M. Costanza Panas (1896-1963) fu monaca Clarissa Cappuccina
del Monastero di san Romualdo di Fabriano.
Morì
pochi giorni prima di Papa Giovanni XXIII, il 28 maggio 1963.
Padre Pio, parlando di lei l'aveva definita « creatura da Dio tanto amata... la pupilla dei suoi occhi... » e aveva previsto che per la sua santità era destinata a « brillare come una stella nel fir-mamento ».
Il
17 aprile 1988 si concluse, a Fabriano il pro-cesso di informazione
sull'eroicità delle sue vir-tù. La luce consolante e feconda dell'Anno Ma-riano
parve sottolineare la benevolenza della Ma-donna verso questa sua figlia
prediletta.
La
serva di Dio nutrì per la Mamma Celeste un amore incandescente. Ne penetrò il
Miste-ro, con tanta efficacia, per sé e per le anime.
Visse
la dottrina spirituale di san Luigi Grignion de Montfort, che conferì ai suoi
pensieri e al suo comportamento un fascino soprannaturale e una tenerezza
materna, che furono le qualità più ap-prezzate dalle sue consorelle e dai
suoi figli e fi-glie spirituali. Era talmente affabile e modesta che spingeva
ad amarla e venerarla nello stesso tempo
In
vita, la serva di Dio incendiò i cuori con il suo appassionato fervore. Sparse
intorno a sé l'eb-brezza delle sue virtù e « il buon odore » di Cristo.
Presto
irradierà, su tutta la Chiesa, il suo esem-pio e la sua protezione.
L'Ordine
di santa Chiara avrà, in Madre M. Costanza, una santa canonizzata in più.
In
lei erano visibili le caratteristiche della vera Clarissa: gioiosa apertura alla
speranza, eroico im-pegno per la gloria di Dio e la salvezza delle ani-me,
amore ardente all'Eucaristia e alla Madonna.
L'umiltà
fu la sua passione. La chiese al Si-gnore con insistente preghiera, non trascurò
nulla per acquistarla. La sua umiltà non fu mai disgiun-ta da una profonda
dolcezza.
La
gloria e l'umiltà stanno tra di loro in stret-to rapporto come il fiore e il
frutto, la semina e il raccolto, il pugnetto di lievito e il pane lievitato.
Essa è il mistero del regno di Dio.
Madre
M. Costanza affermava: « Guai a noi se non fossimo miserabili. La superbia ci
soffo-cherebbe. Io non ricordo di avere praticato un solo atto di virtù vero e
perfetto».
«Prega
per me, o Maria...»
Dio
dà a ciascuno ciò che ciascuno gli chiede e la sua luce si rivela limpida
negli occhi. che non sanno guardare che a lui.
I
poveri di spirito, i puri di cuore, i miti, i mi-sericordiosi, coloro che
cercano la pace fanno crescere la grazia nelle anime, a imitazione del-la Mamma
Celeste. Partecipano alla Maternità spirituale di Maria.
La
serva di Dio lo sapeva e così si esprimeva: - Per guadagnare un'anima sola a
Dio, mi sentirei di dare la vita, anche se a me non ve-nisse alcun merito, ma
solo per il gusto di Dio, perché comprendo quanto un'anima importi a Dio.
E
ancora:
-
Quando guardo il mio cuore, così meschi-no, mi struggo di rimpianto e
scongiuro il mio Dio a darmi un cuore, che abbia ogni potere sul suo allo scopo
di portargli anime.
Così
concludeva un suo manoscritto in ono-re della Madonna:
-
Prega per me o Maria, nell'ora della mia morte e ricorda a Gesù che voglio
morire per farlo vivere nelle anime e che, a ogni mio respi-ro, fino
all'ultimo, intendo chiedergli anime; che, nel tempo e nell'eternità, non gli
chiederò che anime.
«La
mia Madonna»
Madre
M. Costanza Panas nacque il 5 gen-naio 1896 ad Alano di Piave, in provincia di
Bel-luno, in diocesi di Padova.
L'avevano
preceduta tre sorelline: Clelia, An-gelina e Adele. Queste ultime due morirono
in tenera età. I genitori chiamarono la loro quarto-genita con il nome di
Agnese e la circondavano di tenere attenzioni. La bimba dotata di viva in-telligenza
e di profonda sensibilità, li ricambiava con gli slanci generosi della sua
fresca ingenuità.
Non
riesce difficile immaginarla, in quei pri-mi anni di vita, nell'ambiente
semplice e rustico del paese natale, posto a ridosso di boscosi mon-ti, ricco
di smeraldina pace, di tranquillità e di silenzio.
A
pochi anni, Agnese si ammalò gravemen-te. La mamma, già tanto afflitta per la
perdita di Angelina e di Adele, ne fu addoloratissima. Tra le lacrime e con
profonda fiducia, si rivolse alla Madonna di Monte Berico, molto amata e
venerata dalle genti venete.
-
Madonna mia, lasciami almeno questa fi-glia e poi fa quello che vuoi di lei. La
Vergine di Monte Berico l'ascoltò e concesse la guarigione della piccola
Agnese. Mamma Panas, prenden-do con sé la bimba, si recò a ringraziarla nel
suo santuario, con grande gioia e viva riconoscenza.
La
serva di Dio era cosciente di aver ricevuto un miracolo dalla Madonna di Monte
Berico e le fu grata per tutta la vita. La sentiva particolar-mente « sua ».
Era la Madonna del suo cuore e la chiamava, con tanta tenerezza, « la mia Ma-donna».
La
Vergine di Monte Berico è rappresentata in un atteggiamento di soave protezione
verso i suoi devoti. Li accoglie sotto il suo manto, con gesto materno. Ci è
caro pensare che la Serva di Dio vi cercasse spirituale rifugio, più e più vol-te,
per sé e per coloro che amava.
Anche
la Madonna del mare, venerata in una cappella interna del Monastero di san
Romual-do, innumerevoli volte vide la serva di Dio in pro-fonda preghiera
dinanzi a lei.
Per
arrivare al cielo occorre passare attraver-so il mare della vita. Diversamente
non ci si ar-riva. La Madonna ci salva dal possibile naufra-gio. La serva di
Dio ricevette grazie straordina-rie dalla Madonna del mare, in risposta alle
sue infuocate richieste spirituali.
Il
sorriso di Maria e l'educazione dei genitori predisposero Agnese alle misteriose
ascensioni spirituali. Attraverso di lei, il nome dei Panas era destinato a
raggiungere gli splendori della santità.
La
bimba imparò l'Ave Maria, molto presto. La recitava al mattino, ma se capitava
che du-rante il giorno le venisse chiesto di ripeterla, ri-spondeva
prontamente: « L'ho già detta questa mattina, che bisogno c'è di ripeterla?
Forse che la Madonna non se ne ricorda più?!... ».
L'inconscio
dei piccoli è un computer, che de-ve essere programmato. Occorre trasmettergli
impulsi giusti: quello della preghiera è molto im-portante. La preghiera è
segno sicuro che la vi-ta spirituale è in fase di crescita. Le anime che non
pregano vanno incontro a un vuoto abissale.
I
genitori di Agnese lavoravano come artigia-ni. Fabbricavano la tela, con telai
a mano. Il red-
dito
che ne ricavavano era insufficiente alle ne-cessità della famiglia. Per questo
motivo, dietro invito di un loro congiunto, residente negli Stati Uniti,
decisero di recarsi colà. Speravano di tro-varvi un lavoro capace di aumentare
le loro ri-sorse economiche.
Benché
a malincuore, si prepararono a emi-grare.
Il
signor Panas aveva un fratello sacerdote, che era, in quel tempo, cappellano ad
Asiago e abi-tava con la sorella Maria. I coniugi Panas gli ave-vano già
affidato la loro primogenita Clelia.
Prima
di partire per gli Stati Uniti, gli affida-rono anche Agnese, che fu molto
contenta di questa decisione. La sorellina Onorina andrà con lei, ma più
tardi. Temporaneamente venne affi-data a una nutrice di fiducia.
Agnese
aveva molto desiderato di abitare con lo zio Don Angelo Panas. Lo considerò
sempre come un secondo padre e lo amò teneramente. Si comportava molto bene con
lui. Con docili-tà, permetteva che egli plasmasse la sua ricca na-tura
precocemente portata ad affermazioni de-cise. Nell'educazione, l'amore è come
il sole. Fa crescere e fiorire...
«Tu
solo mi puoi aiutare»
Gli
zii volevano molto bene alla nipotina, ma non usavano un'eccessiva indulgenza
con lei. Sa-pevano che quando si cerca di comprare l'affet-to dei bambini, il
prezzo sale. Essi imparano pre-sto che il ricatto sentimentale è redditizio...
Ad
Asiago, capitava che si susseguissero tem-porali frequenti e furiosi. I lampi e
i tuoni inti-morivano molto Agnese, ma lo zio, anziché com-patirla, la
esortava a vincere la paura. La bam-bina, allora, si chiudeva nella sua
sofferenza.
Come
per istinto, si rivolgeva al Sacro Cuore per avere aiuto; si raccomandava a lui.
Da mo-naca così commenterà quel suo precoce atteg-giamento di fiducia in
Dio:
-
Fin dalla più tenera età, Dio l'ho sentito per me, quando cercavo conforto in
lui dicen-dogli: «Tu solo mi puoi aiutare, le creature non possono farlo o non
mi comprendono.
Dopo
aver sperimentato i limiti delle creatu-re, sarà sconvolta e in pari tempo
rasserenata nella profondità della sua anima, dalla voce ir-resistibile di Gesù...
Ascolterà
il suo invito a seguirlo. Sulla spiaggia della sua giovane vita, lascerà le
barche e le reti dei desideri umani. Seguirà Gesù per un'al-tra pesca.
A
sette anni, Agnese era una bambina dota-ta di viva immaginazione e di vibrante
sensibili-tà: era ricca di talento, pia, riflessiva, di una de-licata
innocenza.
Tutto
per lei era motivo di gioia. I prati co-perti dai ranuncoli dorati e i festosi
colori del tra-monto, che, sull'altopiano di Asiago, sono di fia-ba... Gettava
lo sguardo sui campi rivestiti di ver-de tenero, in primavera, smaglianti di
fiori, di vio-le, di pervinche; allagati dal sole in estate, av-volti di
candore, nei mesi invernali.
Ad
Asiago Agnese frequentò la prima classe elementare, poi frequentò la seconda,
la terza e la quarta classe ad Enego, dove lo zio era sta-to trasferito per
motivi di ministero.
Nel
frattempo, anche la sorellina Onorina era venuta con gli zii. Le due bambine si
volevano molto bene e si trastullavano insieme per lun-ghe ore.
Il
5 agosto 1906, Agnese si accostò al ban-chetto eucaristico. Fece con fervore
la sua pri-ma comunione. Fu una festa del cuore, bella e preziosa. Certamente,
in quell'occasione, avvertì, sensibilmente, la divina predilezione.
Contava
dieci anni e sette mesi e aveva già raggiunto un'autodisciplina, frutto di
sacrifici e di volontà.
Alla
vigilia di seguire la vocazione religiosa, Agnese la dirà «nata con me,
cresciuta fin dal-l'infanzia, nonostante gli sforzi per spegnerla».
La
vocazione è un fatto personale tra Dio e l'anima. Il chiamato mette gli
interessi spirituali in primo piano. La vocazione lo arricchisce spi-ritualmente
al massimo.
Le
suore Canossiane ebbero un ruolo impor-tante nella formazione di Agnese. Per
tre anni, ella fu ospite nel loro istituto di Feltre. Vi frequen-tò la quinta
elementare, la prima e la seconda media. Consegui la licenza di scuola media,
nel loro istituto di Vicenza. Fu poi convittrice nell'i-stituto Canossiano
sant'Alvise a Venezia dove frequentò la scuola magistrale « Niccolò Tomma-seo
» ottenendo il diploma di maestra elementare. Nei primi anni di collegio,
l'adolescente « cal-ma, riflessiva, studiosa, ordinata, obbediente » (così
la definì una sua educatrice) era allietata dallo stupore di cose nuove,
dall'allegria delle compagne, dal fervore della pietà, ma in segui-to, a
Venezia, subì una specie di metamorfosi. Il suo comportamento cambiò. Cominciò
ad ac-quistare coscienza della sua femminilità e a la-sciarsi andare a mille
vanità insignificanti, come la maggior parte delle sue coetanee.
Viveva
in modo superficiale. Nessun entusia-smo la spingeva più verso le pratiche di
pietà e l'amicizia con Gesù. Nessun spazio, nella sua giornata, per la
meditazione personale e per il silenzio interiore. Agnese era dotata di
brillanti doti naturali e ne esibiva il fascino.
Cercava
le allegre compagnie, impegnava il tempo libero dallo studio in frivole letture,
la sua fede e il suo amore a Dio avevano subito un raf-freddamento.
A
distanza di anni, la serva di Dio attribuirà il suo mutamento a letture malsane
e alle scuo-le « corrottissime ».
«Torna
a me»
Nel
ricordare la sua permanenza a Venezia e il suo comportamento apatico e freddo
verso Ge-sù, commenterà:
-
Gesù non mi minacciava mai, con la sua voce di richiamo non mi rinfacciava le
grazie donatemi da piccola, ma solo me le ri-cordava.
Con
la voce del rimorso pareva mi dicesse: - Torna a me, te ne darò ancora tante e
maggiori...
Anche
Onorina si era recata a Venezia per la frequenza della scuola Normale. Le due
sorelle erano molto affiatate, benché fossero di attitu-dini diverse. Agnese
era più portata allo studio. In Onorina erano preponderanti il senso pratico e
l'attrattiva per il lavoro manuale. Onorina rias-settava la camera della
sorella e le rendeva tanti piccoli servizi.
Le
suore lo notavano e chiamavano Agnese: «la signorina dalla cameriera».
Si
conserva copia del diploma magistrale di Agnese Panas. La votazione è tra le
migliori. La giovane diplomata teneva però sempre il cuore chiuso all'azione di
Gesù, che è azione di amore, di misericordia e di perdono.
Pareva
che in lei si fosse estinta la sete di Dio... In fondo, provava qualche cosa di
carezzevole anche negli affetti umani: Avevano anch'essi una loro dolcezza.
Don
Angelo Panas era stato trasferito a Co-na. La nipote tornò presso di lui e
subito trovò un posto, come insegnante, nella frazione di Co-netta.
Cominciò
la sua prima esperienza di lavoro. Il suo comportamento era apprezzato perché
chiaro e responsabile.
Tra
la giovane insegnante e gli alunni c'era un'unione di intenti, una cordialità
che coinvol-geva tutti, indistintamente. Era sempre pronta ad accogliere,
educare, istruire, senza la mini-ma parzialità.
Nel 1910 i genitori di Agnese erano tornati dal-l'America portando con sé Massimina e Rosa, nate durante la loro permanenza colà. Rosa di-verrà religiosa e riceverà un aiuto spirituale molto grande dalla sorella Cappuccina. Ci fu tra di loro un attivo scambio di corrispondenza. La Madre era contenta che suor Benvenuta fosse oltre che sua sorella, la sua « foglietta » spiri-tuale.
La
famiglia Panas, ritornata in Italia si era sta-bilita a Valdobbiadene, ma
Agnese continuò a risiedere a Cona presso lo zio e a insegnare a Conetta.
Osservava
l'orario con puntualità e si presta-va, gratuitamente, per la scuola serale
agli adulti e per le ripetizioni private.
La
sua professionalità si affinava nella pra-tica quotidiana. Spiritualmente però
era del tutto inerte, la sua sensibilità religiosa continua-va a essere
assopita. La focalizzavano i fuochi fatui delle gioie umane, relazioni frivole e
mon-dane, esibizioni di raffinata eleganza, letture malsane.
In
giovinezza, i richiami della vita spensierata sono potenti e affascinanti.
Agnese si trovava sul-l'orlo del collasso religioso. Non pregava più. Era
tentata di lasciare anche la santa messa domenicale, ma non si azzardava per
timore del-lo zio.
«
Il vuoto orribile del mio cuore... »
Il
mondo disputava al Signore la creatura già segnata con il segno della sua
predilezione... Ma l'ombra del tempo dilegua, le attrattive della terra e le
gioie umane non sono sufficienti a colmare di allegrezza. Non basta il tenue
calore di un bra-ciere a scaldare il cuore, che anela a un amore infinito.
In
Agnese andava anche infiltrandosi una vena di pessimismo: ombre funeste
minacciavano la sua luminosa gaiezza.
Confesserà
più tardi:
-
Passavo ore di atroce malinconia. Mi pa-reva di venire meno. Nessuno avrebbe
potuto scoprire sotto il velo di una sfrenata allegria il vuo-to orribile del
mio cuore.
Soltanto
l'ossigeno della grazia divina può ali-mentare la fiamma interiore, nel suo
gioioso espandersi di luce e di calore.
A
liberarla dai tentacoli che cercavano di in-trappolarla, la Provvidenza destinò
don Luigi Fritz, sacerdote Oblato della diocesi di Padova. Egli aveva un grande
zelo, una profonda vita in-teriore ed era molto preparato al lavoro aposto-lico.
Per aiutare le anime non misurava i sacrifici. Lo zio di Agnese lo stimava
molto. Lo invitò a Cona per una missione e gli parlò della nipote: In
quell'occasione, don Fritz parlò con Agne-se e iniziò con lei uno scambio di
idee e di corri-spondenza nell'intento di aiutarla nella sua vita spirituale.
Agnese
oppose al sacerdote, che si adopera-va per illuminarla, una iniziale
resistenza, ma in seguito, di fronte alla tenacia, allo zelo, alla chia-rezza
delle motivazioni da lui addotte, si aprì al-la divina grazia.
Riconobbe
a don Luigi Fritz il merito della sua conversione e lo chiamò: « Il mio
secondo Sal-vatore». Fu fedele alla sua direzione spirituale fin quasi alla
fine della sua vita.
La
ripresa spirituale di Agnese rivestì all'ini-zio i caratteri di una certa
difficoltà. Fu però co-stante e decisa.
Una
luce inesorabile prese a frugarle la co-scienza e la indusse a fermi propositi:
-
Non leggerò né ora né poi alcun libro non buono. Lo propongo e voglio a ogni
costo man-tenere. Ho cominciato a pregare. Comincerò an-che la meditazione.
-
Voglio una vita migliore.
Vinte
le insidie tormentose e sottili della sen-sibilità, andò crescendo in Agnese
l'impulso ap-passionato ad amare Dio con cuore indiviso. Era pervasa da uno
sconfinato desiderio di rispon-dere finalmente all'Amore divino fino a consu-marsi,
in un lento olocausto, nell'ombra, per Ge-sù solo.
La
Provvidenza dava sicurezza ai suoi passi e confortava le sue nuove scelte nel
diligente di-simpegno del quotidiano.
La
divina Parola, penetrante come una spa-da a due tagli, la stabiliva in una
riconoscenza non turbata da rimpianti.
...
Tutta racchiusa nel silenzio del mio cuore...
La
fiammella dell'Amore divino aveva ripre-so a palpitare nel cuore della giovane.
Si avvia-va a diventare una viva fiamma, capace di illu-minare altri cuori e
ricondurli al Signore. Scriveva al padre spirituale:
-
Padre mio, non voglio più abbandonare la meta prefissa.
-
Grazie a lei, man mano, cresce in me l'a-more di Dio.
L'insegnamento
di Gesù diveniva penetran-te. Cresceva in lei la grazia della più profonda
interiorità.
-
Dinanzi al tabernacolo, ho sentito il rim-pianto del mio triste passato, il
desiderio vivo di vedere distrutto quel tratto di vita.
-
Sono continuamente compresa dall'amore di Gesù per me.
-
Vivo tutta racchiusa nel silenzio del mio cuore, mostrando sempre all'esterno la
gaiezza più spensierata. Mi sembra che la mia anima sia un quadro a doppia
immagine: una mostrata a tutti, una visibile solo a Gesù e al Padre.
Agnese
avvertiva l'inesorabile esigenza di un amore, che tutto chiede per potersi tutto
dona-re. Desiderava conformarsi a Gesù, suo divino modello.
-
Da molto tempo, domando a Gesù di tro-vare tanto disprezzo intorno a me, per
fiaccare la mia natura così proclive all'orgoglio, alla sti-ma di se medesima.
Le
tue piaghe sono i miei meriti...
Prima
della conversione, Agnese era stata col-laboratrice di giornali profani. Ora
scrive a don Luigi Fritz:
-
Gesù vuole da me che io deponga, ai suoi piedi, il voto della penna: di non
scrivere, in tutta la mia vita, che di Gesù e per Gesù, di non ado-perare la
penna se non per Lui.
La
serenità di Agnese lasciava, talvolta, spa-zio a sentimenti di profondo
rifiuto per il suo pas-sato, poco edificante.
-
Come comprendo sempre maggiormente l'aberrazione del mio passato. Padre mio, mi
do-nerò di cancellarlo con le lacrime e con il sangue?
Si
radicava in lei una invincibile fiducia nella santissima Eucarestia.
-
Ho detto tante cose a Gesù... mi sono umiliata dinanzi a Lui, prostrata a
terra. Poi mi sono rialzata dicendo: «Le tue piaghe sono i miei meriti ».
La
raffinata eleganza di Agnese aveva lascia-to posto a una dignitosa modestia. Le
mortifi-cazioni di gola impreziosivano i suoi pasti.
Era
divenuta l'anima della vita parrocchiale.
Si
occupava del catechismo ai bambini. Parteci-pava alle adunanze delle « Figlie
di Maria » e ne redigeva i verbali. Partecipava a tutte le funzio-ni della
chiesa e ai canti.
Nel
primo venerdì di ogni mese recitava, pub-blicamente, la coroncina del Sacro
Cuore. Scri-veva al padre spirituale: «Mi pare un sogno que-sta nuova vita di
pace e di amore».
L'incanto
della primavera spirituale inondava l'anima di Agnese. Essa conobbe
inesprimibili dolcezze, rimanendone come sopraffatta.
Nell'amare
la Madonna, Agnese era irraggiun-gibile. Si affidava e dipendeva da lei
totalmente il 15 agosto 1915 si consacrò a Maria, come schiava d'amore, secondo
la dottrina spirituale di san Luigi M. Grignion de Montfort. Scriveva:
-
Ho una speranza viva e una grande lena, perché affido ogni più piccola cosa
nelle mani della dolcissima mia Madre e mi fido di lei. In quelle materne mani,
niente va perduto e tutto viene rinnovellato e santificato... La nostra Mam-ma,
la nostra Mamma ci farà santi...
Nella
preghiera di Agnese domina il motivo della Mediazione materna di Maria.
-
Maria ti prego di offrire all'eterno Padre, con il tuo Cuore Immacolato, tutta
la Passione di Gesù, dalle prime lacrime del Presepio, fino all'ultimo sospiro
della Croce, per riparare i miei peccati e quelli di tutto il mondo.
Madre
Costanza Panas dirà alla Madonna cose di una bellezza intangibile, ma
soprattutto saprà imitarla, nella sua totale disponibilità alla volon-tà
divina.
Nei
giorni liberi da particolari impegni, Agne-se passava diverse ore in preghiera
e in adora-zione.
Acque
vive di purificazione e grazie ristoratri-ci rendevano sempre più splendente
la sua ani-ma, che si struggeva in un dolcissimo tormento di dedizione, nel
desiderio di un'offerta, capace di superare ogni umano limite.
Gesù,
mio soavissimo Signore...
Agnese
era impegnatissima ad attuare la sua vocazione alla santità. Attendeva però di
conoscere la forma in cui l'avrebbe portata alla pienezza.
-
Verrà bene il tempo in cui Gesù sussurre-rà alla sua figliola il suo volere,
dandole in pari tempo la forza per adempierlo. Ora, egli vuole una intima e
insistente preghiera... E la ricerca della perfezione nelle minime cose.
Gesù
non la lasciò senza risposta:
-
Sento vivo, tanto vivo ormai, il bisogno di dedicare totalmente la vita a Gesù...
Vorrei es-sere sottoposta a una regola fissa, rigorosa.
Prega:
-
Gesù mio, soavissimo Signore, ho com-battuto tanto tempo... per resistere
all'appello della tua voce... Come potrò ora rifiutarmi di combattere e patire
per divenire tua per sempre?
Aumenta
intanto in lei la propensione per le Famiglie Francescane. Si affida al padre
spirituale per la scelta di quella più rispondente alle sue aspirazioni.
Don
Luigi Fritz le parla allora delle Clarisse Cappuccine di Fabriano, da lui
conosciute in oc-casione di impegni di predicazione.
E
Agnese di rimando:
-
Non ho mai sentito come ieri, pregando Maria Santissima e stamane dopo la santa
Co-munione, la sicurezza della mia vocazione a Cap-puccina.
Il
nuovo cammino ascetico di Agnese suscitò nei familiari una reazione negativa.
La sua mo-destia, le sue prolungate preghiere furono scam-biate per
stravaganze, atteggiamenti di isterismo, singolarità fuori posto.
Di
fronte alla sua vocazione, lo zio sacerdote si trincerò in una invincibile
ostilità.
Il
babbo dimostrò «una feroce avversione». Il padre spirituale la incoraggiava,
con la sua se-rena parola, ma veniva a sua volta, coinvolto in quei contrasti.
La vocazione della serva di Dio era addirittura considerata frutto del suo fana-tismo.
Le
Cappuccine di Fabriano, nella persona del-la loro Abbadessa Madre Raffaella
Valenti, spa-lancarono immediatamente il cuore alla nuova vocazione, in quanto
ad aprirle le porte, dovet-tero rimandare a causa di difficoltà causate dal-la
guerra in corso e da altre circostanze interne.
La
giovane aspettava dal cielo ciò che gli uo-mini non potevano concederle e
pregava che fos-se la Madonna a liberarla da quel ginepraio... L'Abbadessa la
sosteneva: « Ci siamo affi-date tutte al Signore, al Padre san Francesco, alla
Madre santa Chiara, quindi siamo in buone mani. Avanti sempre, Agnese carissima,
e spe-riamo che il giorno, in cui ci riuniremo insieme, non sia lontano ».
Anche
il demonio non si mantiene estraneo alla dolorosa prova di Agnese e crea in lei
stati d'animo dolorosissimi « di disgusto, di insicurez-za, di tedio », a
riguardo della sua vocazione. La sua fedeltà è divina
Don Luigi Fritz sostiene la sua figliola con fe-de virile e profonda, ma il suo comportamento, santamente retto e onesto, viene travisato dai Pa-nas. Di questo stato di cose Agnese soffre mol-tissimo, mentre ringrazia Gesù della freddezza, del disprezzo, che i suoi riservano a lei.
Spiritualmente
cammina per lande deserte, a volte pare che l'amarezza la sommerga. Cono-sce il
timore della dannazione, l'aridità più squal-lida, le distrazioni martellanti
nella preghiera e anche nella santa Comunione.
Annota
nel diario:
-
Gesù è muto, pare mi mostri dimentican-za e abbandono. Ma io credo, credo che
egli mi è vicino, perché la sua fedeltà è divina.
Ella
segue il suo proposito di annientamento e di abbandono nell'amore, confortata a
tratti da carezze divine.
Si
trovano nel suo diario accenni a certe gra-zie « così recondite, così
incomprensibili, che non si sanno supporre con il criterio umano, soltan-to la
grazia divina può scoprirle alla mente, farle sentire al cuore con tono
sovrumano».
Gesù
l'invita:
-
Vieni, vieni con me, io solo ho parole di vita.
Agnese
conclude: «Pare quasi che l'Amore Infinito abbia bisogno di questa tenue larva».
Un altra volta le parve di sentire, per un fug-gevole attimo, l'amore di Maria
per Gesù Bam-bino e quasi ne venne meno.
La
partenza di Agnese per Fabriano avvenne l'8 ottobre 1917 e l'ingresso in
Monastero il gior-no 11. Alla vigilia, il Signore le concesse di sen-tire «
la certezza assoluta di vedere compiersi la divina volontà ».
Partì
da Cona all'insaputa di tutti: Soltanto la sorella Onorina era al corrente della
sua parten-za. L'accompagnava don Luigi Fritz. La giova-ne era come
concentrata nell'Amore, non ve-deva, non sentiva, non voleva altro che Gesù.
Fecero
sosta a Firenze per la santa Messa, in santa Maria Novella. Visitarono ad Assisi
i luo-ghi santificati da santa Chiara e san Francesco. Certamente vi chiesero,
non le estasi consolan-ti, ma la generosità di tutte le ore, la forza del-l'amore,
la fede nel valore meraviglioso di una vita di totale immolazione a Dio.
Le
bellezze naturali della terra marchigiana, la campagna meravigliosa, le placide
colline e le morbide vigne appoggiate a file ordinate di gel-si, gli agili
pioppi e i cipressi severi, attirarono marginalmente l'attenzione di Agnese. I
suoi sguardi penetranti e i palpiti ardenti del suo cuore erano fissi sul suo
Diletto.
A
Fabriano le Cappuccine l'accolsero cori vi-va gioia e coprirono il suo letto
con un tappeto di fiori.
Si
legge nella vita della serva di Dio che ella, ad eccezione del periodo in cui fu
giardiniera, non coglieva mai fiori nel giardino del monaste-ro. Era
delicatissima nel rispettare la priorità di chi li coltivava, nel disporne...
Nella sua vita di monaca coglierà invece, gelosamente, tutti i fiori di
rinuncia, che incontrerà sul suo cammino, per offrirli a Gesù e a Maria, con
delicato amore.
Gli
occhi buoni della postulante seppero pre-sto rilevare le virtù delle monache,
soprattutto la loro grande carità. Misurò presto l'austerità del-la vita
abbracciata.
-
Ora mi accorgo, più di quanto pensavo, che è un Ordine austero assai e in
tutto ciò che si fa c'è una tinta di penitenza e di sacrificio. Io ne sono
contenta.
Pur
in una grande aridità di spirito, Agnese sentiva « un gran desiderio di
obbedienza, di sa-crificio, di virtù, di totale abbandono, un gran-de bisogno
di preghiera, di raccoglimento inter-no ed esterno».
Mostrava
costantemente una gioia serena e rasserenante. La preghiera è l'amore
invisibile; la benevolenza e la disponibilità sono l'amore vi-sibile.
Le
buone monache avevano tutto predispo-sto per iniziare la postulante alle
pratiche ester-ne della Regola. Lei prestava la massima atten-zione,
docilissima. Scriveva al padre spirituale: - Sono sempre la sua piccola ostia
vivente sulla croce con il più puro sorriso.
Continua:
-
Mi pare di aver acquistato, con la grazia di Gesù, una certa libertà di
spirito, che non mi lascia perdere, a lungo, la pace. Se talvolta mi tormenta
qualche pena è sempre passeggera, perché guarisco con un atto di umiliazione
in-terna e di confidenza in Gesù. Una certa fami-liare fiducia mi sembra un
mezzo efficacissimo di progresso nella santificazione.
Tutto
quello che affidiamo a Dio, con l'umil-tà, ci libera, ci realizza. Occorre
centrare tutto in Gesù, nella misericordia e nel suo amore, tenen-do la
Madonna per mano. Questo in sostanza, è il messaggio spirituale di Madre M.
Costanza Panas.
Intanto
maturava in lei una profondità spiri-tuale nuova, che le attirava la
confidenza delle consorelle, della stessa madre Abbadessa, avi-de di penetrare
i segreti dell'unione con Dio, che la postulante possedeva in modo così
evidente. Dopo sei mesi di permanenza in monastero, la postulante ricevette
l'abito francescano. Ven-ne chiamata suor Maria Costanza del divin Mae-stro.
Il vescovo presiedette alla cerimonia della sua vestizione, che si svolse in
un'atmosfera.di gioia e di fervore. Il padre spirituale e i suoi fa-miliari
restarono assenti.
Quando
Gesù dice: «Seguimi» vuol dire « Ama me ». Gesù è l'essere più
inimmaginabile da amare. Non si finisce mai di amarlo. è l'uni-co che può
saziare la sete di amore che c'è nel cuore. Lui solo la può dissetare.
Suor
M. Costanza, novizia, sembrava crescere in perfezione, di giorno in giorno. La
sua chia-mata, fin dall'inizio, era stata un invito deciso a essere santa.
La
santità viene da Dio. Per raggiungerla, non basta il lavoro della creatura, è
necessario l'aiu-to di Dio. La sua grazia fa germogliare e cresce-re il germe
di santità che ciascuno riceve nel santo Battesimo.
San
Luigi M. Grignion de Montfort sottolinea che la santità ha Dio per Padre e
Maria per Ma-dre. Suor M. Costanza ravvisa, nella dottrina di questo santo, la
perla di gran pregio, di cui par-la il santo Vangelo, e propone:
-
Mi industrierò, con tutto il mio cuore, per fare intendere la schiavitù di
Maria a tutte le mie figlie e alle mie Consorelle.
Alla
Madonna suor M. Costanza affida i pro-positi della sua professione religiosa.
Uno di es-si è totalmente mariano:
-
Studierò, sempre di più, la schiavitù di Maria, osservando, per quanto so e
posso le pra-tiche interiori di questa sublime devozione, spe-cialmente lo
spogliamento di me stessa, per amore della Madonna.
Gli
altri propositi hanno per tema le sue virtù preferite:
-
Profonda umiltà e cognizione del mio nul-la, vita di pura fede tra le mani di
Maria con ac-cettazione delle aridità, distrazioni, svogliatezze. Abbandono
gioioso alla divina volontà.
Professò
i santi voti l'8 maggio 1919, ed entrò in comunità come monaca con l'intento
di vivere accanto alle Sorelle in pienezza di miseri-cordia, amore
imperturbabile e soprattutto se-rena e dolce umiltà.
Le
venne affidato l'incarico di segretaria del-la Madre e il compito di prestare
aiuto alle Con-sorelle che l'avessero richiesto.
Donare
agli altri una presenza costruttiva è, senz'altro, l'imperativo più duro
dell'amore. Il tempo di suor M. Costanza era portato via a vo-lo. Soltanto
nelle feste, poteva saziare la sua se-te di preghiera. Trascorreva, in coro,
quasi tut-ta la giornata. Quando pregava, il suo raccogli-mento era
meraviglioso.
Scriveva
alla sorella:
-
La mia vita scorre più veloce del lampo e sempre nella stessa quiete beata.
Compie
i suoi doveri in maniera perfetta: è prontissima nella carità, la prima nei
lavori più pesanti e umili. Minimizza il suo operato e quan-do può è sempre
pronta a scoprire il suo torto e la sua imperfezione. Tace in ogni sofferenza;
si riferisce, come a modello, alla Mamma cele-ste, che cerca di imitare
soprattutto nell'umiltà e nel nascondimento.
Il
9 maggio 1922, in coro davanti a tutte le monache, suor M. Costanza emise la
solenne professione nelle mani della madre Abbadessa. Come di regola, ebbe prima
un colloquio con il vescovo e lo pregò di appoggiare una sua ri-chiesta presso
la comunità: di non eleggerla mai Abbadessa.
Ricoprì
successivamente gli uffici di guarda-robiera, giardiniera, cuoca.
La
sua ascesa non conosceva soste.
Scriveva:
-
Il Signore mi conceda il gusto dell'umilia-zione, la sete del disprezzo, la
brama ardente del-la rinuncia...
La
sua volontà è adamantina:
-
Se sapessi che compiere una cosa è vo-lontà di Dio, anche se dovessi
camminare su di una lama a due tagli, lo farei.
Materialmente
le stanno dinanzi i piccoli non-nulla del tessuto quotidiano, ma le
umiliazioni, che spesso ne derivano, sono come una catena di luce, il veicolo di
grandi grazie per la sua anima.
A
dieci anni dalla sua entrata in monastero, suor M. Costanza venne eletta Maestra
delle no-vizie e tenne questa carica per dieci anni. In que-sto ufficio, si
comportò come una maestra sa-piente, ferma, ma delicata nel rispettare la
liber-tà delle coscienze e permettere a ciascun'anima di crescere secondo il
disegno di Dio. Era ricca di comprensione, dolce nel tratto, gentile nel rim-provero,
calda nell'affetto.
Poteva
dare con profusione i tesori di grazia accumulati in anni di rinunzia e di
preghiera. In-namorava le sue novizie dell'obbedienza, come l'atteggiamento di
fondo, capace di rendere la religiosa strumento di salvezza per il mondo, con
Gesù obbediente.
Le
esortava a lasciare trasparire all'esterno la soavità e la gioia della loro
comunione perso-nale, personalissima con Gesù:
-
Diffondiamo gioia intorno a noi, oltreché coltivare la gioia del servizio di
Dio in noi. Cer-chiamo, con il nostro semplice aspetto, di dila-tare il cuore
di quelli che ci avvicinano, perché la gioia che infondiamo fa crescere il
Signore in loro... Le angustie hanno, quasi sempre, un fondo di amor proprio.
Per
quanto riguardava la sua persona, la ma-dre Maestra sapeva credere fino al
punto di an-nientarsi per amore.
Scriveva
al padre spirituale:
-
Non sono forse l'infima tra gli abietti...?!
-
Tutto mi cade d'intorno, non riesco a por-tare nulla a termine, nulla: ogni
sfacelo mi pare una spinta potente a ridurmi a quella cenere, da cui Dio vuole
essere glorificato.
Quando
era Maestra delle novizie, la serva di Dio attraversò un periodo difficilissimo
di buio abissale, ma si aggrappò al proposito di « non av-vedersi se stava in
sollievo o in tormento, di non guardare a se stessa... ma a Dio solo ».
Fu
provata dalla scarsità dei soggetti recettivi alla sua formazione, dal numero
esiguo delle fi-gliole, dall'isolamento, che le metteva in condi-zioni di non
esercitare alcun apostolato all'e-sterno.
Soltanto
nel terzo triennio del suo incarico la divina Provvidenza dispose che il
noviziato fos-se occupato da ottimi soggetti. L'insegnamento della madre
Maestra era co-stantemente rivolto a far sì che, anche attraver-so le azioni
più banali, venissero soddisfatte le esigenze divine di perfezione individuale
di sal-vezza delle anime e di servizio alla Chiesa.
In
un suo libretto sulla vita interiore, la serva di Dio aveva affermato che Dio «
concilia le mi-nime con le supreme cose ». L'amore di una no-vizia doveva
avere la stessa intensità tanto nella recita dell'Ufficio Divino quanto nello
scopare un nascosto angolo del monastero.
In
lei prevalse sempre la certezza della fede: - Mi pare che il mio Dio sia andato
e vada rivestendomi di se stesso, all'oscuro, mentre fa mostra di spogliarmi da
ogni bene e da ogni in-tima soddisfazione.
La
sua carità non subiva flessioni, anche nei giudizi. Non si fermava a chi le
procurava delle spine, ma proponeva di riceverle «con sempli-ce avidità dalle
mano di Colui che ci ama».
Per
le novizie, la loro maestra fu sempre un esempio tangibile di perfezione.
Costantemente la sentirono immersa in Dio, con il Cuore della Mamma Celeste
quando le Novizie arrivavano alla Professione nel loro cuore non c'era che
gioia, desiderio di amore di Dio, di intimità con la Vergine Maria.
«Lei
non faccia così!»
L'esempio
di Gesù è così affascinante che for-za in chi lo comprende, un immenso
amore. L'incanto della carità è un soavissimo richiamo ai misteri della nostra
Fede. La Madre si strug-geva, perché le sue Novizie aumentassero in amore.
Una
di esse ricorda:
-
Voleva che tra di noi ci volessimo tanto bene. Poco dopo il mio ingresso in
Monastero, entrò un'altra compagna, ma tra di noi per dif-ferenza di carattere
non si andava d'accordo. Ogni tanto ci si stuzzicava. La Madre ne soffriva e
ogni volta ci faceva chiedere perdono, l'una all'altra.
Un
giorno avvenne che facessimo il proposi-to di volerci sempre bene e lo
comunicammo per iscritto alla Madre Maestra.
Ecco
la sua risposta:
-
Brave figliette mie! Se sarete fedeli a eser-citare la carità, il Signore
accenderà nel vostro cuore la fiamma del suo amore.
Non
stancatevi di chiedere la grazia di essere dolci, miti, mansuete, piene di
affetto e di cor-tesia verso le anime che Gesù ha amato più della sua vita e
del suo Sangue.
Cominciate
alla mattina a proporvi di essere amabili, sorridenti, piene di gioia. Vincete
con generosità ogni senso di asprezza, di indifferen-za, di freddezza tra di
voi. Soprattutto riprende-te sempre da capo con lena e confidate nel Si-gnore
che vi vuole bene e accoglie con compia-cenza ogni atto della vostra buona
volontà.
Un
giorno la Madre, in compagnia di una No-vizia stendeva il bucato nell'orto.
Alla finestra si affacciò una suora che chiese se il suo aiuto po-tésse
servire...
-
Lei non faccia così, commentò la Madre, rivolta alla sua figlietta. Non si
domanda, si va ad aiutare.
La
massiccia virtù della serva di Dio aveva or-mai soggiogato anche le monache,
che decise-ro di eleggerla Abbadessa e lo fecero il 22 giu-gno 1936. è
incalcolabile il bene che ne ricevet-tero. Era infatti difficile, se non
impossibile, amare come sapeva amare madre M. Costanza. La sua testimonianza fu
tutta amore.
Si
definì « l'Abbadessa delle anime più che dei Monastero».
Scriveva:
-
Tutte mi sentono madre più che superio-ra. Provo una grande inclinazione alla
mitezza e mi pare di volere « tutto ottenere con l'amore ».
-
Per parlare in comunità non trovo argo-menti più utili ed efficaci di quelli
della carità scambievole, dell'obbedienza, del grande segreto di saper prendere
le cose esteriori come acces-sorie per applicare l'attenzione all'unico neces-sario.
Lei
poteva affermare:
-
Nell'interno sono sempre con lui, talora nella pace, talora con ebbrezza, talora
con lotte profonde.
La
serva di Dio aveva un carattere deciso che la sua umiltà addolciva senza
indebolire il suo cuore era ardente e dolcissimo. Era esperta e si-cura nella
direzione delle anime. Le parole che rivolgeva alle sue figlie non erano mai
dette o scritte per convenienza. Furono da loro gelosa-mente conservate. Ancora
oggi sono un aiuto, una luce che diffonde i suoi raggi anche all'e-sterno del
Monastero.
La
Madre era vera e voleva la verità. Con la sua comunità ebbe sempre un rapporto
di estre-ma chiarezza, di lealtà. Le Monache lo capiva-no e nutrivano per lei
una grandissima stima e un affetto sincero.
Le
sue istruzioni le avevano convinte che la santità è questione di coerenza con
l'impegno di consacrate, che va cercata con naturalezza, con fiducia, con
adesione gioiosa alla volontà di Dio, nelle piccole e nelle grandi occasioni.
Non do-vevano far consistere la santità in gesti clamoro-si, ma nella
straordinaria continuità dell'eserci-zio delle virtù ordinarie.
è
straordinario l'aiuto che le Monache ricevet-tero dalla loro Abbadessa per
scoprire la gioia di essere un nulla, davanti a Dio. La semente, che lei
gettava, cadeva nel loro cuore, come sul buon terreno di cui parla Gesù nel
Vangelo, e dava il massimo rendimento.
La
serva di Dio intrasentiva la realtà di que-sta messe spirituale e scriveva:
-
Quando penso all'ideale di un'anima fe-dele al suo Dio, pura, ingenua, senza
gusti ed ansie... che persevera nella sua pace celestiale, dinanzi a qualsiasi
flutto che l'assalga e tenti di travolgerla... provo un gaudio intimo. Vorrei es-sere
capace di presentare al mio Dio la mia ani-ma e uno stuolo di anime, tutte così.
La
gioia, in una famiglia, perlopiù zampilla dal-la madre.
In
una famiglia, la madre è tutto. Anche in una famiglia religiosa. Nel Monastero
di san Ro-mualdo, le Monache, come api industriose, suc-chiavano il nettare
della gioiosa santità della lo-ro Madre. Quanto la stimavano e come l'ama-vano!
Afferma
una Monaca:
-
Era una vera Madre! A volte, la pensava-mo unica al mondo, come fanno i bambini
che pensano unica la loro mamma... Non ci stanca-vamo di stare con Lei, anche
senza parlare. Sem-pre le sue parole facevano spuntare il sorriso sul volto e
davano desiderio di preghiera. Ogni re-spiro della Madre era preghiera e carità.
Le
sue Figlie sgranano con profonda dolcez-za un rosario di ricordi.
-
Praticava una costante mortificazione: non guardava, non chiedeva, non ascoltava
inutil-mente.
-
Si assoggettava nel vitto a un vero re-gime di penitenza e, durante l'ultima
guerra, met-teva costantemente la sua pietanza a disposizio-ne di qualche
sorella più giovane.
-
Solo Dio conosce le veglie da lei fatte in preghiera.
-
Pur essendo Abbadessa, non agiva da sola: negli af-fari materiali si
consigliava sempre.
-
Non fa-ceva pesare su nessuno la sua autorità e sape-va, all'occorrenza,
chiedere scusa.
-
Sottolinea-va, con ricambio di preghiera, gli atti di carità che la Comunità
riceveva.
-
Non mancava di esternare la gratitudine verso i benefattori prin-cipali, con il
dono di qualche gradita vivanda, preparata, con ogni cura, dalle Monache, in oc-casione
delle principali festività.
-
Dispensava dal digiuno le Sorelle addette ai lavori più pe-santi, mentre lei,
superiora e malata, non se ne dispensava mai, neppure dalla disciplina e dalla
levata notturna.
Il
superiorato di Madre M. Costanza contò an-che gli anni durissimi dell'ultima
guerra, colmo di pericoli, di sacrifici, di rinunce. In quel perio-do, il
Monastero era come un faro di luce, un conforto per molti.
Scriveva
la Madre: « Oggi in coro, al passag-gio di un apparecchio cominciò a
traballare la casa, si scossero i vetri e le monache si aggrap-parono a me,
come colombe spaurite ».
In
uno scritto alla sorella Onorina, parla di bombardamenti, vittime, distruzioni
di edifici e della stazione ferroviaria di Fabriano.
Termina
dicendo: « Ho il presentimento che nulla ci accadrà di male, ad ogni modo
siamo contente di ciò che vuole il Signore ». Il suo pre-sentimento divenne
realtà.
Dal
25 aprile al 21 novembre 1942, la Ma-dre accettò la richiesta del vescovo di
Ferrara di recarsi, come animatrice, presso il locale monastero delle Clarisse
Cappuccine. Fu un sacri-ficio eroico, ma lasciò un'orma splendente nei cuori
delle monache di Ferrara.
La
serva di Dio fu accanto a ciascuna, con la sua materna dolcezza, il suo sorriso,
i suoi con-sigli sapienti. Le amò personalmente; volle il be-ne di ciascuna.
Le portò a maggior intimità di vita con il Signore.
Tra
i due monasteri si stabilì una fraterna col-laborazione, uno scambio di aiuti
provvidenzia-li, in quel tempo di dure restrizioni.
I
santi sono degli innamorati di Dio, ma il lo-ro cuore non perde la tenerezza
degli affetti umani.
Le
sue lettere erano per le figlie di Fabriano una festa del cuore, attese con
desiderio impa-ziente:
-
Come state, cocche mie? Come ve la pas-sate? Quanto vi voglio bene! Vi penso
tutte con tenerezza più che materna, con vibrazioni del cuore, divine.
-
Rinnovatevi a ogni istante... mettete il pa-nino della vostra buona volontà
nelle mani di Ge-sù e lo vedrete prodigiosamente moltiplicato dal lievito
della grazia.
Nella
serva di Dio ardeva il desiderio di co-municare alle anime la vita divina. In
lei vita con-templativa e vita apostolica erano saldate insieme. Una claustrale
deve essere distaccata da tut-to, meno che dalle anime.
Si
contano a decine i testi di meditazione, i libretti di argomento spirituale, gli
articoli pub-blicati su riviste religiose che la Madre M. Co-stanza elaborò.
Come scrittrice, fu apprezzatis-sima per la limpidezza e la dolcezza dei suoi
pen-sieri, maturati nella preghiera e nel costante rin-negamento di sé.
Non
si finirebbe mai di leggerla, di assimilare e di conformarsi alle sue
esortazioni. Portano alla gioia e al possesso di Gesù. Chi tocca i suoi scritti
tocca la sua anima e ne sente il profumo cele-stiale.
Persone
di ogni ceto, tra cui numerosi sacer-doti e religiosi, ricorsero a lei, ai suoi
illuminati consigli.
Scrisse
innumerevoli lettere di direzione spi-rituale, rubando tempo al riposo,
passando in-tere notti a tavolino.
Nessun
egoismo era più possibile in una vita così profondamente concentrata in Dio.
La
serva di Dio era come una fonte cristallina a cui tutti potevano dissetarsi.
Le
lettere di direzione sono autentiche perle per chiarezza, afflato spirituale,
penetrazione psi-cologica. La Madre M. Costanza scriveva tante cose belle di
Gesù e di Maria, confortava, pre-vedeva, a volte, la condotta divina a
riguardo della persona. Si manteneva aderente alle situa-zioni concrete e
aiutava a risolverle con il massi-mo profitto soprannaturale.
Aiutava
a capire che l'amore di Dio può com-piere miracoli anche nella vita più umile
e dare bagliori di luce alle azioni più insignificanti.
Oggi
si sente tanto il bisogno di persone co-me la Madre, che sappiano guardarci
dentro, scoprendo il buono o meno buono che abbia-mo nel cuore; che sappiano
ascoltare con pa-zienza e umiltà e abbiano il coraggio di soffrire per noi,
senza farcelo pesare.
Era
lontana dall'immaginare quanta incidenza avessero, nelle anime, la sua nascosta
fatica, il suo pazientare per loro, certe sue giornate do-lorose, macerate nel
silenzio.
Nella
sua luminosa ascesa, la serva di Dio pas-sò attraverso a tutte le sofferenze
descritte dai maestri di vita spirituale.
Il
suo bisogno, a volte, urtò contro le ripugnan-ze della sua sensibilità, opaca
ai raggi di quell'a-more, che straripava nella parte superiore della sua anima.
Provò
la tremenda lacerazione tra la realtà di essere in Dio e, in pari tempo,
immersa nella mi-seria spirituale e nell'imperfezione.
Pur
accogliendo la grazia in pienezza, la crea-tura umana resta peccatrice...
Scriveva
al padre spirituale:
-
Dico a me stessa che farai? Non t'accorgi che vivi senza pensare, amare, servire
il tuo Si-gnore?!
-
Un'amarezza invincibile mi arresta. Mi pa-re di essere una bugiarda,
un'ipocrita. Tutta la mia orribile miseria, la fiacca volontà, il vergo-gnoso
amor proprio mi si presentano alla vista interiore.
«
Un deserto muto e desolante »
La
serva di Dio si sentì spesso vuota e spo-glia di amore, provò ripugnanza a
qualsiasi atto di virtù. Fu preda di avvilimenti, venne tentata di
disperazione, credette a volte di condurre una vita indegna della sua vocazione.
-
Non avessi il cieco abbandono, la mia vi-ta interna sarebbe un vero martirio
perché non vedo chiaro in nulla... Quali lotte, quali oscuri-tà e miserie. In
questi giorni provavo anche il dubbio o meglio lo spavento del peccato, come la
grazia non fosse più in me.
Le
sue prove interiori raggiunsero culmini stra-zianti, ma furono un segreto tra
lei, Dio e il suo padre spirituale.
Gli
scriveva:
-
Dove sono andata io? Come mi sono ri-dotta? Non me lo domandi, padre, perché
io non lo so... Mi vedo come una fortezza smantellata, un edificio ridotto a un
cumulo di rovine, un de-serto muto e desolante...
Padre
mio, io non appartengo più a Dio se non per una volontà languente, di cui
neppure sono certa... Padre mio, mi disprezzi perché ho tradito le mie
promesse, ho deluso le sue spe-ranze; ho abbandonato il volere di Dio che mi
chiamava all'eroismo e non riceve da me nem-meno i piccoli sacrifici di ogni
giorno.
Giunge
ad affermare:
-
Quante cose accadono che, certo, avrò meritato con i miei peccati. Pare che la
terra man-chi sotto i piedi e il cielo non si apra sopra il ca-po... Se questa
sia la risposta alle mie calde pre-ghiere di gioventù d'essere da lui
stritolata, in-cenerita, distrutta non so, ma è certo che, pur cadendo a
brandelli, non mi pento di essermi da-ta in sua bara.
In
tanto buio capitavano schiarite inattese. Lo Spirito Consolatore la colmava di
dolcezza ine-sprimibile e di forza corroborante.
Le
monache ricordano qualche sua espressio-ne di gioia straripante. Effondeva i
sentimenti con gesti affettuosi, stringendo la mano a qualche monaca o
abbracciandola con intenso affetto. C'era chi commentava: «L'acqua le va per
l'orto ».
Altre
volte i misteri della fede le apparivano con una chiarezza trasparente.
Abitualmente
però anche quando era immersa nelle prove più dolorose la Madre irradiava una
costante dolcezza e una serenità senza om-bre. Riempiva l'atmosfera monastica
di una soa-vità inesauribile.
La
serva di Dio aveva un cuore sensibilissimo e considerò sempre l'affetto verso i
familiari la prima effusione d'amore verso il prossimo. Scri-veva loro,
s'interessava ai loro bisogni, li con-fortava. Non rimase in lei nessuna
traccia di ama-rezza per il loro atteggiamento ostile alla sua vo-cazione.
Amava
molto la sorella Onorina e non le la-sciava mancare i suoi preziosi consigli
per la sua missione di madre di famiglia.
L'ammoniva:
-
La Mamma celeste conosce tutti i bisogni dei suoi figli e non li abbandona mai,
qualun-que sia il loro cammino. Nessuno come la mam-ma terrena può insegnare
ai suoi figli a invocarla.
In
un contesto di consigli sul come educare alla pietà il figlio Sergio scriveva
alla sorella: «In-segnagli un tenero amore alla Madonna, spie-gandogli la sua
bontà e protezione ».
Alla
sorella suor Benvenuta additava nella fre-quente corrispondenza i doni più
preziosi da of-frire allo Sposo celeste: l'abnegazione dell'io, la
sottomisssione alla divina volontà, la fiducia co-stante nell'aiuto celeste,
l'uguaglianza d'umore.
Le
precisava:
-
Tu sai... quali sono le anime grandi...: so-no le anime semplici, candide,
trasparenti, che hanno gettato ogni cosa, ogni cura e tutte loro stesse nel seno
paterno di Dio e riposano là, prendendo, con lo stesso sorriso, tutto ciò che
giunge, senza fare distinzione tra l'amaro e il dol-ce, il pesante e il
leggero, lo scuro e il lucente!
In
via ordinaria la via sicura per conoscere la volontà di Dio a proprio riguardo
e per attuarla perfettamente è la guida di un padre spirituale illuminato e
santo. La parola di don Luigi Fritz era stata infatti per la serva di Dio il
segreto del-la pace interiore e della sicurezza, anche nelle ore della prova.
Ricorreva
a lui senza indugi, quando le capi-tava di brancolare nel buio di una
situazione e nell'incertezza di scelta...
Era
attentissima a seguire i consigli che rice-veva.
La
serva di Dio non poteva disgiungere la sua santificazione da quella del suo
padre. Sentiva il fascino della santità e continuamente si ado-perava per
comunicarglielo. Comprendeva l'im-mensa predilezione di Dio a riguardo di
quell'a-nima sacerdotale e con mano ferma e cuore inondato di luce celeste gli
indirizzò una serie di scritti meravigliosi.
Lo
sostenne soprattutto quando egli già avanti negli anni o pressato da molte
prove, tentava di affondare nello scoraggiamento.
Come
sempre la pedana di lancio che gli ad-dita è l'umiltà che porta a un
annullamento di se stessi e non permette di imbrigliarsi nelle pro-prie
insufficienze e debolezze.
-
Come è bello, padre, ciò che lei mi dice, d'essere rimasto solo, incalcolato,
abbandonato da uomini e da cose, come disorientato e sospe-so dall'incognito...
Ecco il momento di gettarsi a corpo perduto in Dio, puramente in Dio, ab-bandonando
tutto a lui, con un balzo d'amore che annulli tutti i rimpianti, che elimini
tutte le scorie, che porti d'un tratto l'anima all'amples-so più intimo del
suo Creatore...
Don
Luigi Fritz trovava le esortazioni della Ma-dre sproporzionate alle sue
possibilità spirituali: « lo penso d'aver ricevuto in misura molto mo-derata,
le rispondeva. Ma la logica della serva di Dio era stringente!
-
O padre mio quando pensiamo che un Dio, un Dio si è fatto carne, è morto
dissangua-to sulla croce, ha escogitato lo sfogo d'amore del-l'Eucaristia...
possiamo noi, qualcuno di noi, dire di aver ricevuto con limite?...
-
Fissi, di proposito, di cercare solo l'intimi-tà con Dio, di non curarsi
d'altro, di non riflette-re ad altro, di non rivolgersi ad altro.
-
Dio, Amore, Gesù, tu sei per me, io so-no per te... ma Tu costringimi a
pensarti sem-pre, ad amarti di più a non curarmi che di te...
-
Elimini, elimini, gettandosi a corpo mor-to in Dio, in Dio solo... Viva a
momenti. Ogni momento dica: «Dio mio, io sono per te non ho altro ».
Questi
grandi e sublimi pensieri spirituali del-la serva di Dio possono sbocciare,
come fiori di grazia, anche sul nostro cammino.
Raramente
la spiritualità evangelica ha avuto una interpretazione così viva e profonda
ed è sta-ta espressa in modo così limpido, come dal com-portamento e dalle
parole di questa serva di Dio.
Il
tema dell'abbandono in Dio splende in ma-niera sempre più luminosa nella vita
e negli scritti della Madre.
Il
suo abbandono era radicale senza misu-ra e senza calcoli: era sinonimo di fede,
di incrollabile fiducia in Gesù e in Maria.
La
fedele pratica della Schiavitù Mariana l'aveva stabilita in una totale
dipendenza ver-so la Mamma Celeste. Era stata la sua pedana di lancio e
continuava ad esserlo. Tra le brac-cia di Maria si sentiva amata da Dio
attraverso il cuore di una Madre. Affondava nella divina Grazia.
Scriveva
al Padre Spirituale:
-
Devo avere la dolce convinzione che Co-lui che mi ama, veglia su di me, in modo
da fa-re accadere tutto per la mia santificazione. Devo giungere ad accogliere
ogni cosa con fe-stosa letizia come se tutto fosse di mia scelta e di mio
gusto.
L'abbandono
in Dio circondava la serva di Dio come un baluardo di pace. Era il suo leit
motiv. Ne fece oggetto di un voto particolare. L'abban-dono ispirava la sua
preghiera.
-
Difendimi, o Madre potente e dolce, ... sii-mi sempre accanto e suppliscimi in
tutto, per-ché io non farò che guardare a Te e fidarmi di Te...
Nel suo eroico e costante abbandono la ser-va di Dio non cessava di intendersela con il cie-lo, perché esso divenisse inesauribile sorgente di grazia.
Si
legge nella cronaca del Monastero:
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La Nostra Madre si sente male (si era al tempo della sua grave malattia, quella
che la con-dusse alla tomba).
Ci
ha fatto fare un'ora di adorazione a Gesù Eucaristia esposto in coro, per
ringraziar-lo delle croci che ci manda perché ci usi miseri-cordia.
La
serva di Dio usava l'abbandono come mez-zo per distruggere l'amor proprio,
quella sottile compiacenza di noi stessi, che ci penetra insen-sibilmente.
Nell'abbandono
trovava il segreto per non ave-re occhio che a Dio.
Scriveva:
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I risentimenti, i ripieghi su me stessa, il ri-manere agitata e stanca per non
essere riuscita ad accontentare né me, né gli altri non sono che amor proprio
rivestito di specioso desiderio di be-ne. L'abbandono mi insegna una serenità
senza nube. Mi fa lasciare ciò che ho compiuto alla mi-sericordia di Dio e ciò
che ho da compiere alla sua sollecita Provvidenza, che mi aiuterà a fare meglio
in avvenire...
L'abbandono
mi indurrà a compatire i difetti altrui. Come potrò io meravigliarmi, turbarmi
di ciò che il mio Dio incessantemente perdona con immenso amore?!
Vivendo
di abbandono alla Volontà amabilis-sima di Dio non avrò l'occhio che a Lui,
renden-domi cieca sorda e muta a ogni cosa della terra, servendomi solo di ciò
che mi può avvicinare a Dio e occupandomi all'esterno solo del mio do-vere...
Diventi
per me un'abitudine lasciare uno sguardo, una parola, un pensiero che non sia-no
connessi con il mio profitto nell'unione con Dio...
Nell'ultima
tappa della sua vita Madre M. Co-stanza soffrì nello spirito e nel corpo
patimenti sempre nuovi che la consumarono, in unione con lo Sposo crocifisso,
sul duro legno della cro-ce. Gravi dolori artritici, una inappetenza invin-cibile,
disturbi di cuore, la costrinsero a letto ne-gli ultimi tre anni di vita, tra
grandi sofferenze, addolcite dall'assistenza affettuosa, filiale, con-tinua
delle sue carissime figlie.
La
santa Comunione che ricevette durante tut-to il tempo della sua malattia e da
lei tanto desi-derata, fu sempre il momento dell'intimità più vera, del
colloquio e della tenerezza con Gesù Crocifisso e con Maria Addolorata. La
serva di Dio morì semplicemente. Aveva espresso il desiderio di riposare e dal
suo breve assopimento non si ridestò più.
Chiuse
con la sua santa morte una radiosa pa-gina di santità francescana, vissuta in
Maria. Ma-dre M. Costanza Panas era stata un solo cuore con la Mamma Celeste.
Per
tre giorni dal 28 al 31 maggio 1963, la sua salma rimase esposta nella bara e
visitata, pianta, pregata da una enorme folla e fu poi tu-mulata, tra il
generale rimpianto, nel Cimitero di santa Maria, in Fabriano. Era la ricorrenza
li-turgica di Maria Regina!
Dopo
14 anni la serva di Dio è ritornata nella sua Casa, perché i suoi resti
mortali furono tra-slati pubblicamente, l'8 maggio 1977, in un se-polcro
situato nella chiesa del Monastero. Esso è meta di devoti in preghiera.
Dopo
avere perfettamente imitato in vita la Mamma Celeste, Madre M. Costanza ha rag-giunto,
come Lei, la pienezza della beatitudine della fede. «Te beata che hai creduto«
(Lc 1,45).
è
la prima beatitudine riportata dal Vangelo e anche l'ultima: « Beati coloro che
crederanno senza avere visto » (Gu 20,29).
La
gioia della Madre è ora completa e per-fetta. Il suo splendido cammino di
umiltà è di-venuto luce per molti. In lei si è avverata la Pa-rola di Gesù:
« Così splenda la vostra luce » (Mt 5,16).
Tra
le sue Figlie e Sorelle continua a fiorire la santità, come risultato della
perfetta imitazio-ne di Gesù casto, povero, obbediente e soprat-tutto umile.
Il
Monastero di san Romualdo, severo e mo-numentale all'esterno, pare sfidare il
tempo e ri-petere a tutti che l'unica vittoria in potere del-l'uomo è quella
dell'Amore.
O
Maria, Madre di Dio e Madre nostra dol-cissima, Tu sei la Stella consolatrice,
che dirada le tenebre del mare burrascoso della nostra vita terrena: a Te
solleviamo lo sguardo pieno di spe-ranza! Col tuo mite raggio di bontà materna
illu-mina i nostri passi nel cammino dell'eternità; col Tuo sguardo di
benevolenza ravviva il nostro co-raggio nelle lotte dell'esilio; col Tuo manto
di pro-tezione ricoprici a difesa da tutti i pericoli e spe-cialmente dalla
colpa, unico vero male.
O
benigna Stella, ci affidiamo a Te con sicu-rezza filiale: rendici degni del Tuo
amore mater-no. Così sia.
Dio,
Dio mio, ecco la minima delle Tue crea-ture, che non ha altra ambizione che
d'essere rac-colta dalla polvere, maneggiata a Tuo talento, trattata da Te e da
tutti, come Tu vuoi, senza risentimento, senza pretesa, senza tristezza alcu-na.
Ecco la Tua ingenua creaturina: non ha oc-chio che per vedere Te solo...
ritirala tutta in Te, perché d'altro non s'avveda!