ORA
SANTA_13
Preghiera
Adoro, Signore, la tua infinita Maestà,
davanti alla quale mi trovo, e umilmente ti domando la grazia di trarre frutto
dalla meditazione che sto per fare ad onore e gloria tua ed a santificazione
dell'anima mia. Vergine Santissima, Angelo mio custode, Santi miei protettori,
pregate ed intercedete per me.
Giunta
l'ora di glorificare l'Eterno Padre con la sua ubbidienza, Gesù si alza dalla
mensa e con sollecitudine dice agli Apostoli: «Su, alzatevi e andiamo». E
senza interrompere il suo discorso, dopo aver rivolto al Padre una preghiera,
esce dal cenacolo e s'incammina verso il giardino del Getsemani. Intanto ai
poveri Apostoli trema il cuore nel petto, perché temono che sia venuto il
momento di doversi separare da Lui; per cui, come pulcini intorno alla
chioccia, tutti gli si fanno vicino con un santo desiderio di ascoltarlo. E con
grande attenzione e devozione accolgono ogni sua parola come parola di vita
eterna. Gesù, allora, vedendoli così pieni di santo fervore, predice loro ciò
che sarebbe avvenuto in quella stessa notte; li mette in guardia contro il
demonio che li avrebbe tentati e vagliati durante la sua Passione come si fa con
il grano, cercando di far vacillare la loro fede coll'insinuare nel loro cuore
questi pensieri: come può Gesù essere Dio e Salvatore del mondo se non salva
neppure se stesso? Il Maestro dice loro questo perché siano umili e non si
fidino dei loro fervori; infatti la natura è fragilissima e, di fronte ai
misteri della fede, la ragione facilmente cede, se non è sostenuta da una forza
particolare di Dio.Gli Apostoli nell'udire Gesù che predice la tentazione con
cui sarebbero stati messi alla prova, avrebbero dovuto, conoscendo la propria
debolezza, umiliarsi ed implorare subito l'aiuto divino; invece dichiarano con
risolutezza che non avrebbero mai perso il coraggio di testimoniare
pubblicamente la loro fede in Lui, a costo di subire non solo la prigionia ed i
tormenti, ma anche la morte. Così dicono tutti, ma Pietro lo fa in un modo
particolare con coraggio ardente e sincero, mosso com'è da una fede viva e da
un amore profondo; e sbaglia, perché non aggiunge che riuscirà a tener salda
la fede solo con l'aiuto divino. Nelle sue affermazioni dimostra molta
presunzione, poiché crede di poter fare da solo una cosa che va oltre le sue
possibilità, e addirittura si vanta che non avrebbe mai vacillato nella fede
anche quando tutti gli altri fossero caduti. Giustamente allora Gesù, prendendo
spunto da questa sua presunzione, gli predice che proprio lui, quella notte
stessa, lo avrebbe rinnegato tre volte. Così ha insegnato a tutti noi che non
possiamo riprometterci nulla né con i sentimenti più profondi né con le
intenzioni più sincere, se non interviene la divina misericordia a
fortificarci con la sua grazia. Dopo aver faticato durante il giorno per la
salvezza delle anime, di notte Gesù era solito ritirarsi a pregare in un giardino
alle falde del monte Oliveto. Egli non vuol tralasciare questa devota
consuetudine nemmeno in quest'ultima notte, perciò si reca in quel luogo dove
di lì a poco Giuda sarebbe arrivato con gente armata per arrestarlo. Così Gesù
fa capire agli Apostoli che la sua cattura non sarà per Lui né improvvisa né
forzata, ma volontaria.
Riflessione
Tutto
ciò è di ammonimento anche per me. Talvolta, infatti, per certe ispirazioni
del mio spirito e per l'entusiasmo del mio cuore, mi sembra di avere un
coraggio tale da preferire il martirio piuttosto che rinunciare alla fede;
purtroppo tante volte nelle tentazioni ho sperimentato la mia debolezza, perché
non le ho scacciate subito, ma mi sono fermato a discutere e a cavillare; così,
pian piano, sono arrivato sull'orlo del precipizio. Devo temere le tentazioni
contro la fede, poiché per vincerle non posso assolutamente contare sulle mie
forze. è vero che il demonio non può tentare senza il permesso del Signore,
ma è anche vero che Dio permette la tentazione sia per mettere alla prova la
nostra virtù che per punire e riparare i nostri peccati di superbia.
Quanto
sono profondi i misteri della sapienza e della bontà di Dio, che permette che
vengano scosse dalle fondamenta le colonne più solide della sua Chiesa, per
dare a me una lezione di umiltà! Quando nella confessione prometto di non offendere
più Dio e di volerlo servire fedelmente, se confido solo nelle mie forze sono
come un uccellino che vorrebbe volare senza le ali, molto più debole e misero
di san Pietro quando aveva assicurato di poter dare la vita per il Maestro,
senza contare sull'aiuto divino.
In
un giardino, il paradiso terrestre, Adamo aveva peccato portando alla rovina il
mondo intero; in un giardino, quello del Getsemani, il Salvatore inizia la sua
Passione per la redenzione del mondo. Egli si avvia nell'orto spinto solo
dalla sua ardente carità. Sebbene sappia che dopo qualche ora ripercorrerà
la stessa strada incatenato e trascinato dai suoi nemici, non si abbatte,
anzi, con coraggiosa fierezza va ad aspettarli. Come al solito ha portato con sé
gli Apostoli, e continua a conversare con loro come se non stesse per succedere
nulla. In questo modo Egli insegna non solo agli Apostoli, ma anche a noi, di
ricorrere sempre alla preghiera specialmente nelle avversità, per ritrovare la
pace dello spirito.
Appena
Gesù è entrato nell'orto, il suo spirito si riempie subito di paura, di
angoscia e di tristezza. Prima ancora che i suoi nemici vengano a tormentarlo
nel corpo, Egli prova nella sua anima una pena tanto grande che nessuno,
accetto Lui, UomoDio, avrebbe potuto sopportare con tanta fortezza. Col farsi
uomo, il Figlio di Dio ha voluto assoggettarsi alle debolezze della natura
umana, quindi ora permette a questa sua natura di patire tutto ciò che gli
uomini patiscono: paure, malinconie, turbamenti, inquietudini, angosce. Dio si
è umiliato fino a sopportare nella sua anima questi dolori, per permettere al
genere umano di elevarsi all'altezza del suo Creatore. Nessuno mai potrebbe
descrivere in maniera rispondente questa dolorosissima Passione di Cristo. In
Gesù coesistevano due nature: quella divina e quella umana; possedeva quindi
una volontà divina che comandava ad una volontà razionale umana, la quale
ubbidiva senza opporre alcuna resistenza. Perciò la volontà di GesùUomo
accettava ciò che GesùDio aveva già stabilito per la salvezza del mondo. Ma
questa sottomissione alla propria volontà divina non gli impediva di provare
tutte le sofferenze ed i sentimenti propri della natura umana, per cui
s'impauriva, si stancava e si rattristava come ogni altro uomo. E per quanto
riguarda la Passione in particolare Dio aveva stabilito che fosse il più
possibile dolorosa, perché così più abbondante sarebbe stata la redenzione.
Per capire ancora meglio la Passione di Gesù nell'orto del Getsemani,
dobbiamo tener presente questa verità: Egli non si è spaventato perché gli è
capitata un'improvvisa sciagura; a Lui non succede quello che normalmente
avviene a ciascuno di noi quando dobbiamo subire delle avversità: ci lamentiamo
e ci disperiamo perché vorremmo eliminare l'ostacolo, ma ci sentiamo impotenti
a farlo. Al nostro Salvatore, invece, non accade nulla che sia contrario alla
sua volontà, perciò se ora Egli si spaventa e soffre fino a cadere in agonia,
come dice il Profeta, è solo perché lo ha deciso Lui spontaneamente. Per
rendere ancora più acuta la sua agonia, Gesù suscita in sé i pensieri più
penosi e più inquietanti. Con un atto di perfetta virtù richiama alla sua
mente tutta la serie di tormenti della sua Passione e vede distintamente nei
minimi particolari ogni umiliazione e ogni sofferenza che di lì a poco dovrà
subire. Ciò che tormenta di più l'anima sensitiva di Gesù nell'orto è il
timore della morte violenta, prossima ed inevitabile, che Egli considera un male
gravissimo per quanto riguarda la legge di natura, perché distrugge la sua vita
preziosa. è vero che alla sua morte disonorevole dovrà seguire una
risurrezione gloriosa, ma l'istinto naturale, che spinge ad amare e a
conservare la vita presente, non sa guardare oltre la morte. Egli quindi si
rattrista, resiste e non vorrebbe morire. Ma il volere divino, cui d'altronde la
sua ragione ubbidisce, non gli permette di sfuggire alla morte; ed è proprio in
questa lotta tra la ragione obbediente e i sensi che si ribellano, che l'umanità
di Gesù patisce i dolori più atroci. Gesù teme la morte come uomo, per farci
capire che è un uomo come noi. E poi, dato che nella sua Persona sono presenti
tutti gli uomini, ha voluto lasciarci in questo suo timore un utile
insegnamento. Meditiamolo dunque e cerchiamo di trarne giovamento. La passione
interiore di Gesù è stata costante dal primo fino all'ultimo momento della sua
vita. Egli infatti è vissuto sempre in una continua apprensione per ciò che
alla fine il suo corpo avrebbe dovuto patire. La sua tristezza, però, era
mitigata da una gioia spirituale, che spesso lo aveva fatto parlare della sua
morte addirittura con desiderio; nell'orto degli ulivi questa tristezza
diventa angoscia profonda. Gesù ha voluto soffrire la sua Passione nell'anima
non meno che nel corpo, quindi non solo nella sua natura umana sensibile, ma
anche nella sfera superiore del suo intelletto. Benché Egli nella sua mente
fosse beato, tuttavia ha trovato un modo miracoloso per unire alla beatitudine
un infinito dolore provocato dalla visione di tutti i peccati del mondo e dal
ribrezzo che questi gli causavano. Durante tutto il tempo della sua vita aveva
avuto una chiara conoscenza del peccato, ora però nell'orto lo analizza con
maggior intensità e ne valuta il danno. Nell'orto Gesù vede tutti i peccati
del mondo passati, presenti e futuri, non soltanto con una conoscenza umana,
superficiale, ma con la luce dell'intelligenza divina, maggiore di quella che
potrebbero avere tutti gli uomini e gli angeli messi insieme. Egli ne penetra
fino in fondo la bruttura e la malizia. Gesù si rattrista per tutti i
peccati del mondo, ma soprattutto per quelli del popolo d'Israele, che è il suo
e da Lui amato tanto da fargli ritenere un onore il fatto di essere, in modo del
tutto speciale, il suo Dio e il suo Salvatore. Che cosa proverà mai, vedendo
schierato davanti al suo spirito questo popolo che risponde con tanta
ingratitudine alla sua misericordia e con tanti peccati ai suoi benefici? Lo
vede mentre prepara funi e catene per catturare e crocifiggere chi è venuto dal
Cielo per salvarlo. I peccati degli Ebrei erano veramente molto più gravi di
quelli di tante altre nazioni, ed è per questo che arrecavano una pena maggiore
al cuore di Gesù. L'anima di Gesù è un divino santuario nel quale, però,
non ci è possibile entrare con facilità; così, quando non riusciamo a capire
come mai la sua anima abbia potuto soffrire pur essendo intimamente unita a Dio,
non sbagliamo nel pensare che la Divinità di Gesù abbia compiuto dei miracoli,
sia per permettere alla sua umanità di patire, sia per aumentare di ora in ora
le sue sofferenze. Gesù nell'orto non si limita a rappresentare nella sua
mente tutti i peccati del mondo, ma fa di più: come Salvatore del genere umano
prende su di sé i peccati di tutte le nazioni, dei Giudei, dei pagani e dei
cristiani e se ne appropria in una maniera tale da farli sembrare peccati
commessi da Lui personalmente. Come può sopportare un intero mondo di iniquità,
fra le quali, non dobbiamo dimenticarlo, ci sono anche le nostre? Quale sarà il
suo affanno, la sua tristezza nel sentirsi gravato da un carico così pesante?
In tutta la Passione dobbiamo considerare non tanto le manifestazioni esteriori,
ma soprattutto l'interiorità profonda di Gesù, poiché questa è la sede
della virtù, della perfezione e della santità; questo vale anche nei nostri
confronti, quindi, prima di tutto è il nostro intimo che dev'essere educato e
controllato. Per capire meglio come e perché Gesù si sia addossato tutti i
peccati del mondo, possiamo dire che Egli si è fatto per noi mallevadore presso
la giustizia divina. Si chiama mallevadore quel mediatore che si prende carico
dei debiti di un altro e si impegna a saldarli. Ed infatti ogni volta che il
debitore non paga, deve farlo lui, proprio perché ne è il garante. Anche noi
siamo debitori verso Dio e degni di morte eterna a causa del peccato, che è un
debito immenso in quanto è offesa all'infinita maestà di Dio. Ora, poiché
nessuna creatura umana e neppure l'umanità intera erano in grado di pagare
questo debito, che cos'ha fatto il Figlio di Dio? Mosso a compassione dell'uomo
dalla sua infinita carità, si è fatto uomo Egli stesso e si è offerto come
mallevadore all'Eterno Padre, addossandosi ogni nostro debito ed impegnandosi
a pagarlo per noi. Il Salvatore geme, oppresso da un'immensa tristezza. E
sentendosi desolato perché gli mancano quelle consolazioni spirituali che era
solito avere, si rivolge ai tre Apostoli che ha condotto con sé, per trovare un
po' di conforto; e come sul Tabor si era rivelato a loro come vero Dio,
mostrando i tesori della sua gloria, così ora conferma di essere Uomo,
manifestando le sue debolezze non immaginarie, ma vere e degne di essere
compatite. Dice loro: "L'anima mia è tanto afflitta che non può più
reggere. Io mi sento morire. Fratelli miei, non mi abbandonate, abbiate pazienza
perché ora dovrete tenermi compagnia e consolarmi".
Riflessioni
Contempla,
anima mia, il tuo Signore, pallido, debole, tremante ed oppresso da affanni che
non gli danno tregua. Ora si getta con la faccia a terra, ora alza le braccia al
cielo, ora, brancolando nel buio della notte, sospira, ansima e geme. Così
inquieto, con un'oppressione nel petto che quasi gli toglie il respiro,
vorrebbe dar sfogo alla sua angoscia, ma il suo cuore ne è talmente
congestionato da non riuscire a liberarsene. Però se lo osservi con attenzione
riesci ad accorgerti ugualmente del suo affanno interiore, perché ha il volto
pallido e contratto e il suo corpo è tutto ripiegato su se stesso. Così si
compiono le profezie riguardanti l'anima del Salvatore: essa è sconvolta,
impaurita ed agitata come se fosse in balia di un mare in tempesta. Egli accetta
di provare la tristezza per far meritare a noi la consolazione, prende su di sé
tutto il dolore per procurarci la gioia. Ma noi, quanta compassione proviamo per
il Salvatore divino così sofferente per amor nostro? Gesù sa che la volontà
divina ha decretato la sua Passione e la sua Morte; e ora che è giunto il
momento stabilito, essa glielo comunica lì nell'orto del Getsemani, affinché
la carne e i sensi l'accettino. Egli vede l'Eterno Padre, sdegnato per i peccati
del mondo, comandare che sia sguainata contro di Lui la spada della sua
giustizia. E la povera natura di Gesù, vedendo arrivare i colpi, si rattrista e
si spaventa a morte, e lo rivela col pallore del viso e con il sudore di sangue.
Il Salvatore avrebbe potuto non rattristarsi, perché era Lui che desiderava
patire e morire, ma volle farlo per condividere tutto ciò che noi soffriamo
davanti alla morte; avrebbe potuto tenere segreta questa sua agonia interiore,
invece volle che fosse evidenziata da segni esteriori e che gli Evangelisti
la descrivessero perché noi fossimo consolati. Osserva, anima mia, come
sanguina il tuo Salvatore colpito ed annientato dal dolore. E tu, che cosa provi
davanti a tanta sofferenza?
In
Gesù i sentimenti sono frutto della natura umana, ma nessuno di essi può
entrare in azione senza il comando della volontà divina, di modo che ogni moto
di tristezza, di avversione o di paura in Lui è solo volontario. Come si è
fatto uomo nelle circostanze da Lui volute, così soffre le miserie proprie dell'uomo
quando e come Lui ha stabilito. Allora dobbiamo credere che come è volontaria
la passione del corpo, altrettanto lo sia la sofferenza dell'anima. Devo
riflettere poi su un altro punto: anche se Gesù fosse stato costretto a
soffrire, per il solo motivo di aver fatto di necessità virtù con le sue
sublimi intenzioni, sarei tenuto comunque a ringraziarlo profondamente per
l'eroica offerta che ha fatto di sé all'Eterno Padre in mio favore. Allora
quanto grande dovrebbe essere la mia riconoscenza, visto che non c'è stata in
Lui nessuna costrizione, ma solo la libera scelta della sua misericordia che ha
voluto patire tutto con amore!
Gesù
nell'orto vede gli schiaffi che percuoteranno il suo adorabile volto, le
percosse che feriranno il suo corpo immacolato, le spine che trafiggeranno il
suo capo, le piaghe che apriranno la sua carne e il sangue che uscirà dalle
sue vene. Vede anche le indicibili offese che martorieranno il suo spirito e la
morte infamante cui sarà sottoposto. Con tutta la forza tiene stretti nel suo
cuore questi fantasmi, tanto da provare nella sua anima ciò che in seguito
avrebbe dovuto soffrire nel corpo, continuando così a sacrificare e ad offrire
in ogni istante se stesso per noi. Anima mia, pensa che Gesù, data la sua
natura perfetta, aveva una sensibilità acutissima, per cui la sua tristezza
raggiungeva punte molto elevate. Cerca di immaginare ciò che di più orribile
potrebbe turbare e spaventare tutti gli uomini messi insieme: ebbene tutto
questo non è neppure lontanamente paragonabile all'angoscia e al dolore di
Gesù nell'orto. Egli ci invita, con la parola del Profeta, a considerare ogni
dolore che sta per soffrire nel corpo e che ora soffre nell'anima: "Venite
e vedete se vi è dolore simile al mio".
Ma
cerchiamo di capire come tutto questo accada per una benevola decisione di Dio.
Egli permette all'istinto naturale di provare ripugnanza, affinché quanto più
questa è grande, tanto più meritoria sia l'obbedienza del Salvatore, che deve
espiare per la disubbidienza di Adamo. Così tollera che il cuore di Gesù sia
agitato da un disperato rifiuto della carne e dei sensi, perché proprio quando
questi hanno avuto il sopravvento sono nati tutti i peccati del mondo.
Se
Gesù teme la morte solo per l'istinto naturale di conservazione, cioè solo per
il fatto che l'anima dovrà separarsi dal corpo, quanto dovrei temerla io, ora
che la fede mi ha fatto capire tante cose relative alla vita ultraterrena? A Gesù
non può far paura il tribunale di Dio, poiché è il Re degli innocenti; e non
c'è nessuno che possa accusarlo di aver peccato, visto che neppure lo stesso
demonio ha potuto trovare in Lui un'ombra di male. Io, invece, dovrei averne una
tale paura da sentirmi angosciato giorno e notte. Dovrò morire e comparire
davanti al giudizio di Dio, colpevole di aver commesso tanti misfatti; eppure
non ci penso e tanto meno mi spavento, anzi vivo indifferente, come se non
dovessi mai morire o se dopo la morte non accadesse proprio nulla. Certo, posso
anche temere la morte come la temono gli animali che sono soggetti all'istinto
di conservazione, oppure i non credenti che sono attaccati a questo misero
mondo, ma certamente non come dovrebbe temerla un buon cristiano che vive di
fede.
Questa
angoscia causa una pena infinita all'anima di Gesù, perché non è alleviata da
alcun conforto. La sua natura divina è del tutto indipendente dalla natura
sensibile, per cui Egli, pur essendo immensamente beato nella sua essenza
divina, tuttavia, per quanto riguarda la sua umanità, soffre profondamente,
tormentato e smarrito in una confusione di oscurità, di aridità e di disgusto.
La sua umanità, quindi, gioisce e soffre nello stesso tempo: la sua letizia non
è affatto ostacolata dal suo patire, così come la pena non è per nulla
addolcita dalla gioia. Tutto questo avviene perché Egli stesso ha disposto così.
La Sacra Scrittura dice che Dio, nella creazione del mondo, divise le acque e ne
dispose una parte sopra e una parte sotto il firmamento; le prime rimangono in
una quieta tranquillità, mentre le altre sono esposte continuamente alla furia
dei venti. Una cosa simile è avvenuta nella storia della Redenzione: in Gesù
si sono divise le acque della beatitudine divina, che stanno nella parte
superiore della sua anima, dalle acque della sofferenza che inondano la parte
inferiore. Non mancherebbero all'UomoDio le possibilità di trovare un po' di
conforto per alleviare i suoi patimenti, ma Egli lo rifiuta e accetta soltanto
ciò che può rendere ancora più penosa la sua Passione. E a quale scopo? Per
far guadagnare a me il Paradiso, dove la gioia è pura e non esiste tristezza,
per preservare me dall'Inferno dove tutto è dolore, per spronare proprio me ad
imitarlo in questa valle di lacrime, dove c'è sempre una mescolanza di gioia
e di dolore.
Nascendo,
Gesù aveva assunto la figura non di un uomo solo, ma di tutta l'umanità, perciò,
nell'orto in particolare, prende su di sé le miserie di tutti. Egli vede i
peccati del mondo da Adamo fino a quel momento e quelli che saranno commessi
fino al giorno del giudizio; passano tutti nella sua mente non alla rinfusa,
come potrebbe accadere a noi, ma ben distinti nella specie, nel numero e nella
gravità, proprio come se ogni peccatore fosse là nell'orto e peccasse alla sua
presenza. Che tormento per un UomoDio! Giustamente Egli può lamentarsi col
Profeta che torrenti di iniquità l'hanno turbato; e noi possiamo aggiungere
che il suo dolore è come un immenso mare in cui vanno a versarsi tutti i fiumi.
Ma ora voglio riflettere solo su quanto mi riguarda, senza divagare sulle
colpe degli altri. Tutti i miei peccati di pensiero, di parole e di opere sono
presenti a Gesù. Egli li vede e li misura proprio tutti, quelli che ho commesso
da solo e in compagnia, sia di giorno che di notte. Purtroppo il suo cuore vede
anche che non ne sono affatto pentito e per questo è oppresso da una tristezza
mortale.
Gesù,
avendo in sé la pienezza della Divinità con tutti i tesori della sapienza e
della scienza, sa alla perfezione che cosa sia il peccato mortale. Ben diversa
dalla sua è la nostra conoscenza; noi che possiamo conoscere Dio solo
attraverso l'oscurità della fede, sappiamo soltanto che il peccato è una grave
offesa a Dio. Gesù, invece, poiché penetra con la sua anima l'infinita bontà
e maestà di Dio, può vedere con chiarezza tutta la gravità del peccato
mortale, che offende direttamente la grandezza divina. Quella visione, però,
provoca in Lui un'angoscia tanto profonda da essere per noi impossibile da
capire ed esprimere. Se davanti a me comparisse il diavolo nella sua ripugnante
bruttezza, indubbiamente inorridirei e cadrei tramortito per lo spavento. Ma
tutti i diavoli dell'Inferno messi assieme non sono nulla a confronto
dell'orrore che dovrebbe incutere un solo peccato mortale. Perciò, cosa deve
aver provato Gesù quando gli si presentarono davanti milioni e milioni di
peccati in tutta la loro ripugnanza?
Noi
cristiani, visto che possiamo considerarci ancor più degli Ebrei il popolo
prediletto da Gesù, dobbiamo convincerci che sono proprio i nostri peccati
quelli che lo hanno fatto soffrire di più. Infatti il peccato di un cristiano,
che dichiara apertamente di vivere nella religione del vero Dio, è certamente
più grave di quello di un infedele, dato che ha ricevuto una forza maggiore
dalla fede e dalla grazia. Più forte si sente la spinta ad aspirare alla
perfezione, più grande è la responsabilità quando si pecca. La colpa di un
cristiano che offende Gesù, riconosciuto come vero Dio, è senza dubbio più
grave di quella di un Giudeo che lo considera un semplice uomo. Giustamente,
quindi, Gesù più che per gli Ebrei soffre per i peccatori cristiani. Ed io
come mi vedo alla luce di questa verità? è un miracolo che Gesù si mantenga
in vita fra tanti dolori mortali, ed è ancora un miracolo che il suo spirito
rimanga beato nella gloria e insieme sia provato da tante sofferenze. L'anima di
Gesù, essendo intimamente unita a Dio, vede molto più chiaramente di noi tutto
ciò che può affliggerla e quindi, conoscendo di più, soffre anche di più.
E quando la sua umanità sta per soccombere sotto il peso del dolore, interviene
la sua Divinità a comunicargli una forza più grande per sopportarne altri
ancora maggiori. Noi, nelle nostre pene, troviamo sempre conforto nell'affidarci
a Dio e sappiamo che i martiri gioivano nei loro tormenti, perché la grazia
li avvolgeva di celeste tenerezza e li rendeva forti nella sopportazione. Nella
Passione, invece, la Divinità non concede a Gesù neppure una stilla di gioia
per addolcire le amarezze della sua anima, anzi le accresce. E perché Gesù
interviene come Dio per rendere più dolorosa la sua Passione, scegliendo un
dolore totale, non mitigato da alcun sollievo? Egli patisce per riparare il
peccato; perciò, essendo questo il vero male per eccellenza, per il suo
riscatto deve corrispondere una pena proporzionata, cioè il dolore per
eccellenza. Ed è per questo che la sofferenza del Salvatore, sia dei sensi
che della mente, viene paragonata a quella dell'Inferno, che è intensa e non
ammette alcun sollievo.
Quale
sarà l'angoscia dell'anima innocente di Gesù, che non ha mai peccato né
avrebbe mai potuto farlo, e che anzi prova un'estrema ripugnanza al peccato, nel
sentirsi oppressa da un cumulo tanto grande di colpe altrui? Come potrà
sopportare lei, umile e pura, il peso di tanta superbia e di tanta lussuria? E
quanto dolore le procureranno i sacrilegi e le empietà, proprio a lei che è
totalmente santa ed innamorata di Dio? E impossibile immaginare lo stato
d'animo di quell'Uomo senza macchia, nel ritenersi colpevole di enormi
scelleratezze, tanto da sentirsi obbligato a sopportarne il castigo. Anima mia,
per quanto ti è possibile, sforzati di intuire il tormento di Gesù nel
sentirsi carico di tanti peccati non suoi. Egli potrebbe almeno consolarsi
pensando che tutto avviene perché Lui lo vuole, invece non lo fa, affinché la
sua sofferenza sia totale e proporzionata alla gravità dei peccati che vuole
espiare.
è
così che noi dobbiamo considerare Gesù nell'orto: carico dei nostri debiti,
cioè dei nostri peccati, perché si è fatto nostro mediatore pur non avendo
bisogno di noi, mentre noi avevamo un'estremo bisogno di Lui. Egli, quindi, sta
per pagare per noi con l'offrire al Padre le sue mortali sofferenze; sta per
cancellare le nostre colpe registrate nei libri della giustizia divina e per
liberarci dalla morte eterna. Noi giudicheremmo enorme un debito che non potesse
essere pagato neppure con le ricchezze di tutti i potenti messi insieme. E il
peccato mortale, allora, quanto grave deve essere ritenuto se per essere
soddisfatto non bastano i meriti di tutte le creature del cielo e della terra,
ma è necessario il cruento sacrificio di un UomoDio? Questo pensiero dovrebbe
essere sufficiente a tenermi nell'umiltà e a farmi considerare un povero
fallito, in quanto mi fa capire che io valgo molto poco e che devo tutto al
Mediatore divino che ha pagato per me con la propria vita.
Si
rimane senza parole nel vedere il Dio della gioia e consolatore degli afflitti
in tanta tribolazione da aver bisogno di essere consolato. Lui, che poco prima
col suo aspetto divino allontanava la malinconia dagli animi e rapiva il cuore
di chiunque lo guardasse, ora è ridotto in modo tale da mendicare un po' di
conforto da tre poveri pescatori. E che cosa mai si potrebbe dire, vedendolo in
quello stato così pietoso nel quale, come Giobbe, va elemosinando compassione
dagli amici? Abbiamo ammirato Gesù quando, nel cenacolo, si è abbassato a
lavare i piedi degli Apostoli; ma quella era un'umiltà onorata, nella quale si
era confermato Maestro e Signore. Ora, invece, rivela un'umiltà fatta di
debolezza e paura, che lo spinge ad implorare aiuto, come se non avesse più la
forza di sostenere le sue tribolazioni. Qui si manifesta come un uomo di poco
valore che non fa apparire in sé nulla di divino; ma non dobbiamo mai
dimenticare che questa sua abiezione è proprio Lui che la vuole. Ma anche se il
divino Maestro si è abbassato fino al punto di domandare conforto, gli Apostoli
continuano a dormire e, come se fossero diventati privi di senno, non gli
rispondono neppure una mezza parola di consolazione. Gesù stesso, però, ha
disposto che la sua umanità abbandonata ed agonizzante cerchi, ma invano, chi
la consoli, affinché nella sua Passione non abbia alcun sollievo né da Dio né
dagli uomini.
Gli Apostoli si addormentano nell'Orto del Getsemani
Gesù
aveva condotto con sé nell'orto Pietro, Giacomo e Giovanni, i tre apostoli
che aveva scelto come suoi confidenti. Ad essi rivela la grande tristezza che
lo affligge perché pensa alla Passione che di ora in ora si sta avvicinando. Ma
dopo aver udito il loro Maestro lamentarsi con sospiri tali da commuovere
chiunque, gli Apostoli si scoraggiano e si abbandonano al sonno, vinti dalla
noia e dalla stanchezza.
Quando
Gesù trova gli Apostoli addormentati, dopo che aveva raccomandato loro di
vegliare in preghiera, rimprovera in particolare Pietro, perché non ha saputo
farsi violenza e vegliare con Lui neppure un'ora. Pietro poco prima aveva dichiarato
di essere più coraggioso di tutti, tanto da poter sostenere per amore di Gesù
anche la prigionia e la morte. E il divino Maestro l'ha condotto con sé
nell'orto, affinché imparasse che non può far nulla senza l'aiuto di Dio chi
crede di poter fare tutto da solo. Giustamente, quindi, ora lo umilia, e, per
fargli vedere quanto sia stata audace la sua presuntuosa affermazione, gli
chiede: "Come credi di poter fare grandi cose per amor mio, se non hai
potuto vegliare neppure un'ora con me?".
Consideriamo
ora il motivo per cui Gesù impone agli Apostoli di pregare e perché li
riprende quando essi, invece di farlo, si mettono a dormire. Egli dice loro:
"Raccomandatevi a Dio, perché si avvicina il tempo della tentazione. Non
dovete fidarvi del fervore del vostro spirito, perché l'umanità è
debole". Gesù li sollecita a pregare perché evitino non la tentazione in
generale, ma in modo particolare quella di negarlo e di abbandonarlo, come in
effetti faranno di li a poco. è come se dicesse: "Voi siete i miei
Apostoli e i capi della mia Chiesa, fortificati dalla mia Carne, dal mio Sangue
e dalla mia santa Parola; ma con tutto ciò vi è necessaria la preghiera per
non cadere, perché nei pericoli la fragile natura umana soccombe sempre, se non
è stata fortificata dall'aiuto divino".
Riflessioni
Questi
tre Apostoli sono stati scelti dal Salvatore perché erano i più entusiasti e i
più impegnati tra i Dodici. E poiché solo loro sono stati testimoni della sua
Divinità e spettatori della sua gloria quando si era trasfigurato sul monte
Tabor, dovrebbero essere loro i più forti e i più vigilanti nell'assisterlo
nell'imminente agonia, alla quale, del resto, erano già stati preparati.
Invece, proprio nel momento in cui dovrebbero dimostrare la loro fedeltà, si
mettono a dormire, senza provare neppure un po' di compassione per Gesù che
soffre tanto per loro. Anche se quel sonno è provocato dalla natura debole o
dalla tentazione diabolica, gli Apostoli sono comunque colpevoli. d'indifferenza,
perché, invece di lasciarsi andare, dovrebbero scuotersi e farsi commuovere
dalla Passione di Gesù. E proprio su questo io devo riflettere. Talvolta provo
un po' di fervore nel meditare la santa Passione, ma per lo più sono pigro,
annoiato e svogliato. Ed ora come sono, mentre penso alla grande tristezza di
Gesù? I miei sentimenti dormono e non ho né volontà per imitarlo né cuore
per compatirlo. Davvero nessuno è più accidioso di me visto che non mi
commuovo neppure davanti alle pene atroci che Gesù ha sopportato proprio a
causa mia.
San
Pietro convinto dall'esperienza e dalla coscienza di aver sbagliato, turbato
non risponde al rimprovero; e la sua confusione aumenta perché ricorda di aver
vegliato e di essersi affaticato notti intere a pescare con i suoi compagni,
mentre adesso si accorge di non essere riuscito a vegliare e a pregare un'ora
sola, per far compagnia a Gesù e per giovare alla sua anima. Tutto questo io
posso applicarlo a me stesso: anch'io sono annoiato ed infastidito quando si
tratta delle cose di Dio, specialmente della preghiera, invece sono sveglio e
pieno di energia, quando devo curare i miei interessi umani o soddisfare i miei
piaceri. Solo negli esercizi di pietà provo stanchezza e noia e non nell'ozio e
nel divertimento. Fino a quando dovrò rimanere in questo stato d'indolenza?
Come giustificherò davanti al tribunale di Dio il fatto di non aver saputo
dominare le mie inclinazioni per amor suo e per la salvezza della mia anima,
mentre le ho controllate tante volte per motivi di prudenza umana o anche solo
per vanità ed ambizione? Perciò viene rivolto anche a me il rimprovero fatto
all'Apostolo. Anch'io, infatti, dico spesso di voler sacrificare volentieri la
mia vita per Dio, ma tale dichiarazione non è affatto sincera, visto che non so
mortificarmi neppure nelle piccole cose per amor suo. Certamente, questa mia
viltà è un motivo in più per essere umile, ma purtroppo, sono ancora molto
lontano da questa virtù.
Dobbiamo
pensare che il Salvatore del mondo rivolge anche a noi queste parole; infatti
abbiamo dentro e fuori di noi tanti nemici in grado di farci peccare e di
rovinarci con le loro tentazioni. Essi hanno il potere di assalirci
all'improvviso in qualunque momento e in qualunque luogo: ecco, allora, la
necessità di premunirci con la preghiera per non rimanere sconfitti. Proprio
per non aver pregato, gli Apostoli sono stati vinti dalla tentazione; e noi
saremo vinti ancora più facilmente, se non ricorreremo a Dio per aver aiuto.
Non esiste tentazione più pericolosa per noi di quella in cui il demonio cerca
di distoglierci dalla preghiera, ora con un pretesto ora con un altro. Se riesce
a vincere in questo, ha vinto in tutto, perché il non pregare, che in sé è già
una sconfitta, ci priva di tutte le armi di difesa. In che considerazione tengo
io la preghiera e con quanta diligenza e costanza prego?
Nel
colmo delle sue afflizioni, Gesù non manifesta moti d'impazienza o di sdegno,
come siamo soliti fare noi nelle avversità, ma con la preghiera ricorre a Dio,
secondo la predizione della Scrittura. Egli non prega come Dio, perché come
tale potrebbe tutto ciò che vuole, ma prega come un uomo che ha sempre bisogno
dell'aiuto divino per essere sostenuto nelle debolezze della natura; e prega
come capo e maestro della Chiesa, per insegnare a noi, col suo esempio, a
servirci della preghiera in tutte le nostre necessità, soprattutto in quelle
dell'anima.
Gesù nell'orto prega con grande umiltà, che manifesta prostrandosi a terra, prega con fervore di spirito e con voce energica rotta dalle lacrime, come è detto nella lettera agli Ebrei: "Offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime". Egli si rivolge al Padre riconoscendo la sua Maestà, la sua grandezza: "Tutto a te è possibile, tu sei potente", e lo onora con sentimenti di rispetto e di amore: "Solo la tua volontà ha valore, non la mia". Inoltre ricorre a Dio con filiale confidenza chiamandolo "Padre mio". Altre volte lo aveva invocato col nome di Padre, ora lo chiama anche "suo", che ha lo stesso valore di "nostro", perché in quel momento Gesù rappresenta tutti i suoi fedeli; ora vuole insegnarci con l'esempio come si deve pregare, dopo che l'ha fatto con la parola.
La
preghiera è un atto di volontà che espone a Dio un suo desiderio perché lo
esaudisca. Poiché nella Persona di Gesù sussistono due volontà, quella
naturale e quella divina, possiamo dire che due furono anche le sue preghiere
nell'orto: nella prima, assecondando il rifiuto dei sensi, chiese che la sua
umanità fosse dispensata dal bere il calice della Passione; nella seconda Egli
pregò che comunque fosse fatto solo ciò che piaceva a Dio, dando ascolto, in
questo, alla volontà ragionevole che dipende da quella divina.
Dalla
disubbidienza di Adamo è derivata la rovina del mondo e alla disubbidienza può
essere ricondotto ogni nostro peccato, visto che, peccando, non si fa altro che
scegliere di accontentare gli stimoli delle passioni, anziché di ubbidire ai
comandamenti divini. Perciò Gesù, per riconciliarsi con Dio e riparare gli
oltraggi fatti al suo onore, ha voluto contrapporre alla disubbidienza
generale la sua ubbidienza perfetta, di cui proprio nell'orto abbiamo l'esempio
più efficace.
Per
salvare il mondo, Gesù ha agito sia come uomo sia come Dio; infatti non avrebbe
potuto essere il nostro mediatore né riconciliarci con Dio, se non si fosse
umiliato, se non avesse pregato e ubbidito in entrambe le sue nature. Dobbiamo
riflettere attentamente sul valore della sua ubbidienza. Gesù non aveva alcun
obbligo di patire e morire per salvare il mondo, ma l'ha fatto spontaneamente
solo per far cosa gradita al Padre.
Tre
volte Gesù ha pregato in questa notte, e la prima è durata non meno di un'ora,
perciò abbiamo motivo di credere che solo dopo aver raccomandato la sua umanità
a Dio ed aver pregato per ciascuno di noi, si sia assoggettato a patire per
tutti, secondo il volere divino.
Riflessioni
Vedi, anima mia, con quanta umiltà e riverenza Egli prega inginocchiato e prostrato con la faccia a terra, come se non fosse degno di sollevarla e contemplare il cielo. Pare che non si ricordi neanche di essere Figlio di Dio. è così profonda la sua sottomissione che, non contento di umiliarsi a pregare come uomo, vuole abbassarsi ancora di più come fosse l'ultimo di tutti i peccatori. Riflettiamo: se il nostro Salvatore, l'UomoDio, cerca ristoro alle sue angosce solo nella preghiera, come può l'uomo, tanto debole ed incline al male, pensare di potersi sostenere nelle avversità con le sue sole forze, senza ricorrere alla preghiera? è forse più costante e più forte di Lui? Sono veramente uno sciocco, superbo ed ignorante, se non riesco a càpire che Gesù m'insegna a cercare sollievo, quando sono triste o inquieto, non conversando con gli uomini, ma rivolgendomi a Dio con la preghiera. Io invece, ricorro a Lui molto poco nelle mie necessità quotidiane.
Gesù
non vuole che noi invochiamo Dio con il timore servile tipico della legge
antica, ma con l'amore filiale che è proprio della nuova. Questo insegnamento
è davvero importante, perché non possiamo mai pregare bene se non abbiamo
fiducia di essere esauditi. E per poter pregare con abbandono e ferma speranza,
dobbiamo tener presenti due verità di fede: la prima, che Dio per sua bontà è
nostro Padre e, come vero Padre, ci ama; l'altra, che Dio è onnipotente e perciò
non vi è nulla che Egli non possa. Può esserci, allora, qualche grazia che io
non possa domandare e sperare di ottenere, quando so che Dio come Padre ha
verso di me un amore infinito, e come Onnipotente può concedermi ogni bene?
Qui
infatti Egli suscita in se stesso, nella sfera delle sensazioni umane, una
grande ripugnanza per i dolori, per il disonore, per la morte; e affinché si
sappia che la sua tristezza è tanto grande da non poter essere consolata che da
Dio, ricorre al Padre e gli mostra l'angoscia della sua umanità per muoverlo a
compassione. Ma Egli non è venuto nel mondo per sottomettersi al volere della
carne, perciò, senza, alcun riguardo per questa, accetta subito la volontà di
Dio. Gesù vuol farci capire che, per quanto il dolore sia ripugnante e
contrario alla natura umana, questa deve sempre ubbidire a Dio vincendo se
stessa. è ammirevole l'ubbidienza di Gesù. Egli vede distintamente nella
qualità e nella quantità tutti i patimenti ormai prossimi, e per ciascuno di
essi l'istinto, che non vuole soffrire, fa un atto di resistenza; ma la ragione
risponde con altrettanti atti di ubbidienza e rinnova con intenso fervore la
sottomissione al Padre, accettando ad una ad una tutte le pene e dicendo con
umiltà perfetta: "Non sia fatta, Padre, la mia volontà, ma la tua".
Ma lasciamo che siano gli angeli a rimanere incantati e ad adorare l'ubbidienza
di Gesù; noi, invece, dobbiamo sforzarci di far tesoro del suo esempio e di
impegnarci nell'imitarlo.
L'obbedienza
più è libera e spontanea, più è nobile e meritoria. Un figlio buono che
vuol onorare suo padre agisce così: basta che intuisca che cosa gli piace che
subito considera il desiderio paterno come un vero comando e lo esegue. Proprio
questo è stato il comportamento di Gesù. Sapeva perfettamente che quanto più
avesse sofferto per riuscire a salvarci tutti, tanto più avrebbe procurato
soddisfazione ed onore all'Eterno Padre. E poiché amava infinitamente sia Lui
che gli uomini, suoi figli ingrati, ha accettato subito e volentieri di patire
tutti i dolori che la sua umanità avesse potuto sopportare. Devo veramente
provare vergogna davanti a un'ubbidienza così grande. Quante cose sarebbero
gradite a Dio se le facessi per amor suo! Io so che se praticassi l'umiltà, la
carità, la pazienza e tante altre virtù, gli renderei un grande onore; eppure
questo pensiero non riesce affatto a smuovermi, visto che mi pesa ubbidire anche
nelle cose che sono comandate. Il mio tenore di vita, in sostanza, è questo: mi
accontento di non far del male e non mi preoccupo di far del bene. Quando non mi
sento costretto, uso la libertà più per favorire il mio comodo che per
impegnarmi nelle cose di Dio, e mi sento sempre più portato ad assecondare i
miei capricci e il mio egoismo, piuttosto che fare il mio dovere e rinsaldare
l'amore alle virtù.
Osservando
attentamente ogni attimo della sua Passione, Gesù vede che questa è la fonte a
cui tutti attingeranno le grazie necessarie per la loro salvezza eterna. Sa
anche, poiché è riportato dalle Scritture, che queste grazie devono essere da
Lui implorate con la preghiera. Perciò possiamo immaginare che, mano a mano che
si rassegna alla sofferenza dei flagelli, degli insulti, delle spine e della
croce, offra tutti i patimenti al Padre per noi con preghiere, suppliche sospiri
e lacrime. E il Padre, onorato dalla dignità e dall'umiltà del suo diletto
Figlio, gli concede tutto quello che domanda. è vero che non lo ascolta quando
chiede di essere dispensato dal soffrire, come desidererebbe la sua natura
umana, ma lo fa perché così conviene per la salvezza del mondo e perché è
Gesù stesso che lo prega di non accontentarlo, visto che è già stata esaudita
ogni sua domanda riguardo al resto. Rifletti, anima mia, quanto sei obbligata
verso il tuo Redentore. La fede, la speranza, la carità, i doni dello Spirito
Santo, le ispirakwi e gr arrd sprecali gerfggfafgere Ar heac'tic`aramre eCenra,
wiro tutti frutti che derivano dalla Passione di Gesù e sono stati concessi a
te per effetto della sua preghiera all'Eterno Padre. Certamente Egli ha
procurato le grazie per tutti, ma i suoi meriti li ha riservati in particolare
per te sola, come se non avesse patito, pregato e ottenuto per nessun altro
all'infuori di te e come se tu fossi unica al mondo.
La
preghiera di Gesù nell'orto è stata umile, fervorosa, confidente, ma anche
perseverante; ci è di esempio a non stancarci mai di pregare, poiché con la
perseveranza si ottiene ciò che con altre virtù non è possibile ottenere. Gesù
chiede insistentemente, con gli occhi rivolti al cielo, che il genere umano
possa essere salvato senza che Lui debba morire sulla croce, perché la morte
che lo aspetta è troppo dolorosa. Ma come se il cielo fosse sordo, non riceve
alcun segno che la sua preghiera sia stata esaudita. Cresce perciò l'angoscia,
e in quel desolato abbandono la sua anima è triste fino alla morte. Chi mai
potrà consolarlo? Si rivolge agli Apostoli e li trova addormentati; ricorre al
Padre, ma Egli che lo ha sempre esaudito quando ha pregato per gli altri, ora,
che prega per sé, pare non volerlo ascoltare, poiché considera in Lui
soltanto l'uomo debole e peccatore.
Non si sa che cosa abbia detto l'Angelo a Gesù, perché non è scritto nel Vangelo, si sa solo che gli è apparso per confortarlo. La tradizione della Chiesa continua a mostrare quest'Angelo nel gesto di presentare un calice al Salvatore; e nel calice è raffigurata la sua Passione, secondo quanto poco prima Gesù stesso aveva detto. è perciò verosimile che il celeste messaggero gli annunci da parte del Padre che il genere umano non può essere salvato se non per mezzo della sua Passione; perciò è giusto credere che, per incoraggiarlo a soffrire, gli faccia anche sapere che la sua Passione quanto più sarà crudele tanto più sarà fruttuosa.
Poiché
è Dio, Gesù sa in anticipo ciò che l'Angelo gli avrebbe detto; inoltre Lui,
che è Signore e fonte di gloria per tutti gli angeli, non ha bisogno di essere
istruito e tanto meno confortato. Potrebbe consolarsi da solo, invece non
accetta alcun aiuto dalla sua Divinità. Come se fosse un semplice uomo, e
quindi inferiore agli angeli, vuole che venga un angelo per potersi umiliare,
dichiarandosi bisognoso dell'aiuto dei suoi servi celesti. Quando era nel
deserto questi gli erano apparsi per servirlo come Dio; ` ora l'Angelo viene a
confortarlo come uomo, prostrato e dolente.
All'amaro
calice, che Gesù ha ricevuto dall'Angelo con perfetta uniformità al volere
divino, noi dobbiamo contrapporre un altro calice, che ci è offerto dal mondo
e che lusinga i sensi, incanta l'anima e la conduce al vizio, mezzo sicuro per
la perdizione.
Riflessioni
Quale pena avrà provato l'umanità desolata di Gesù nel sentire che l'Onnipotente era diventato così poco misericordioso verso le sue preghiere e nel constatare che proprio Colui, dal quale aspettava aiuto e conforto, riempiva ora la sua anima di tristezza e d'amarezza! Tuttavia Gesù non si spazientisce, né si ribella, ma si pone in preghiera per la terza volta. Ed ecco che subito gli appare un angelo venuto dal cielo a confortarlo. Così fa Dio con chi geme per qualche sofferenza e non si stanca di ricorrere a Lui con una preghiera umile e perseverante. Lo consola e lo aiuta nella maniera che ritiene più giusta e più utile. Così farebbe anche con me, se non mi lasciassi prendere dalla stanchezza e dalla sfiducia. Quando chiedo a Dio il dono dell'umiltà, della carità, dell'amore alla castità o di qualche altra virtù, vorrei essere esaudito subito; e se la grazia tarda ad essermi concessa, dubito, mi abbatto e non ho più il desiderio di pregare. Quanto sono presuntuoso! Gesù, che meritava di essere ascoltato fin dalla prima preghiera, non fu esaudito che alla terza; ed io, misero peccatore, posso forse pretendere di ricevere una grazia subito, appena apro la bocca per chiederla?
Quale
consolazione deve essere per Gesù vedere milioni e milioni di anime, ormai
meritevoli di condanna, salvate per mezzo dell'effusione del suo preziosissimo
Sangue! Possiamo immaginare quanta forza gli venga dalla certezza che dopo soli
tre giorni sarebbe risuscitato, vittorioso sulla morte e sull'Inferno, e che
alle pene passeggere sarebbe seguita una gloria eterna.
L'Angelo
mandato dall'Eterno Padre, mentre parla a Gesù, si umilia adorandolo
profondamente. Anche Gesù si umilia accettando con riverente sottomissione le
parole del messaggero come parole di Dio. Questi esempi di umiltà dovrebbero
essere più che sufficienti per farmi rinnegare la mia superbia. Se Gesù si
rivolge con tanto rispetto e sottomissione a quell'Angelo che apparteneva
senza dubbio agli Ordini supremi, data l'alta missione che era stato chiamato a
compiere, a maggior ragione dovrei farlo io quando mi presento davanti a Lui e
medito la sua Passione. Esaminandomi attentamente, mi vedo, riguardo al corpo,
solo fango destinato alla putrefazione e, quanto all'anima, un cumulo spregevole
di cattiverie e di peccati. Dovrei perciò tremare di rispetto e stupirmi che
Dio mi tolleri alla sua presenza. Invece come sto davanti a Lui? Sono raccolto e
devoto? Se Gesù, che è il creatore degli angeli, si umilia tanto davanti ad
uno di essi quasi fosse inferiore, con quanta umiltà dovrei comportarmi io
verso il mio prossimo, se fossi convinto di essere il più ingrato ed il più
vile di tutti? Purtroppo, invece, vedo che sono altezzoso e desideroso di
emergere ad ogni costo, che sono convinto di aver sempre ragione e di meritare
il plauso di tutti e che sono, inoltre, arrogante con i miei superiori.
Fintanto
che dura la nostra vita terrena, abbiamo la possibilità di scegliere il calice
di Gesù, che significa portare la croce per amor suo, oppure il calice del
mondo, cioè darsi ai piaceri mondani. Chi si deciderà per il primo, anche se
è stato un gran peccatore, sarà perdonato, si salverà e godrà una
beatitudine eterna, ma chi sceglierà il secondo si perderà e berrà
eternamente un calice di tormenti. Anima mia, tu quale preferisci? Il calice del
mondo, tu lo sai, sembra dolce per il piacere procurato dalle passioni, ma in
realtà è ingannevole e si svuota ben presto, lasciando amarezze e rimorsi.
Anche il calice che ti offre Gesù sul momento può sembrare amaro, ma poi
comunica una grande dolcezza; infatti non c'è gioia maggiore di quella che si
prova nel servire fedelmente Dio. Com'è possibile, allora, essere indecisi
sulla scelta?
La
Passione di Gesù è piena di miracoli; ed è miracoloso anche il fatto che
Egli riceva conforto dal messaggero celeste senza che, per questo, diminuisca la
sua tristezza, anzi, lo stesso conforto contribuisce ad aumentarla. Quale sia
stato questo conforto non possiamo saperlo con precisione, ma solo
immaginarlo; il Vangelo infatti riporta soltanto che Gesù, appena fu consolato,
cominciò ad agonizzare.
Secondo
la Parola di Dio sarà coronato di gloria solo colui che avrà combattuto. E
l'agonia di Gesù non è altro che una battaglia contro l'istinto e i sensi, che
fanno gli ultimi sforzi per resistere alla morte. Insieme al calice della
Passione, l'Angelo presenta a Gesù anche la sua morte, sotto un aspetto
talmente angosciante da non potersi neppure immaginare. In quel momento vede i
suoi nemici, guidati da Giuda, che escono armati dalla città per cercarlo,
catturarlo ed ucciderlo; ne è talmente impaurito da cadere in uno stato d'angoscia
simile alla morte.
Tutti
naturalmente temono la morte, ma la paura è ancora maggiore quando alla lotta
dell'istinto naturale si aggiunge anche quella della ragione. è questo il caso
di Gesù: Egli capisce perfettamente quanto sia importante la sua vita che, per
l'unione ipostatica, è la più degna del mondo di essere amata e stimata. Egli
sa che la sua vita terrena è più preziosa di quella degli angeli, per la
grande gloria che essa, in ogni momento, dà a Dio; e benché riconosca che è
un'ottima cosa sacrificarla per liberare le anime dal peccato, tuttavia sa che
è un bene infinitamente superiore a tutti i peccati del mondo. Non c'è tanta
distanza fra la terra e il cielo, più di quanta ce ne sia tra la sua vita e la
nostra. Gesù, perciò, più vede che la sua vita merita di essere amata, più
vi si aggrappa per motivi naturali e insieme soprannaturali. è comprensibile
quindi che, al pensiero di doverla consegnare nelle mani dei nemici, provi un
dolore tanto acuto da cadere in un'atroce agonia, nella quale sarebbe morto
anche il più forte degli uomini.
è
stato molto doloroso per Gesù il pensiero di dover perdere la sua preziosissima
vita; ma ad aggravare questa pena interviene un altro motivo: la sua innocenza.
Un malfattore che deve essere messo a morte si turba certamente, pensando che di
lì a poco dovrà morire. Però riesce anche a rassegnarsi, aiutato dal rimorso
che lo convince di aver meritato la morte con i suoi delitti. Non è così per
un innocente, il quale si angoscia ancora di più, perché giustamente sa di non
meritare quella condanna. Perciò quanto deve aver sofferto Gesù, visto che era
in assoluto il più innocente degli uomini!
Quello
che fa agonizzare Gesù non è tanto la morte, quanto il dover morire in croce,
supplizio che in quei tempi era il più crudele e il più vergognoso di tatti,
perché veniva inflitto ai peggiori delinquenti. Un principe che deve essere
giustiziato dai suoi nemici può accettare con coraggio la sentenza, a patto di
morire decapitato, perché non potrebbe sopportare l'umiliazione di essere
impiccato sulla forca. Gesù perciò deve fare una doppia violenza su se stesso:
la prima per consegnarsi ubbidiente alla morte ormai decisa, e la seconda per
accettare di morire proprio sulla croce. A questo sforzo sovrumano bisogna
quindi attribuire il suo stato di agonia.
Ogni
male è entrato nel mondo a causa della disubbidienza di Adamo, e Gesù ha
voluto ripararlo con la sua ubbidienza. Il più terribile di tutti i mali è
la morte; essa perciò non fu voluta perciò da Dio, ma fu introdotta nel mondo
proprio dal peccato. E la nostra agonia, a causa delle nostre colpe, avrebbe
dovuto essere piena di amarezze, se non fosse intervenuto Gesù ad addolcire con
la sua agonia le pene da noi meritate. Egli spontaneamente accetta di
soffrire, oltre che per procurarci la salvezza, anche per dimostrarci che solo
accettando con fiducia la volontà di Dio, possiamo superare la paura della
morte; e vuole anche insegnarci che se viviamo cristianamente non dobbiamo
temere nessuna morte, naturale o violenta che sia.
Riflessioni
Quando
si dice che Gesù agonizzò, si deve prendere alla lettera questa espressione,
poiché Egli si ridusse realmente nello stato pietoso, fatto di pena e di
affanno, in cui si trovano gli agonizzanti. Quest'agonia fu una conseguenza
della sua ardente carità che gli aveva fatto dichiarare di morire volentieri
pur di ridare la vita al mondo. E poiché sapeva di non poter morire due volte,
volle patire due volte almeno l'agonia, assaporando la prima nell'orto e la
seconda sul Calvario. L'agonia che Gesù sopportò sulla croce fu causata
dall'empietà dei crocifissori, quella dell'orto ebbe origine dalla sua carità.
E fu questa invincibile carità che fortificò il suo cuore nella lotta contro i
sensi e che gli fece desiderare di morire sulla croce. Nell'attimo stesso in
cui ubbidì, accettando il calice della Passione e della morte per salvarci,
cominciò a redimere le nostre anime cadendo volontariamente in quella terribile
agonia.
La
volontà di Gesù accetta la morte sia per la salvezza delle anime, sia per la
gloria di Dio, ma scatena un conflitto contro i sensi che invece la rifiutano;
e la lotta fa agonizzare Gesù in maniera atroce, anche perché non riceve alcun
aiuto né dalla Divinità né dalla ragione umana. Tutto è disposto in modo
tale che a soffrire sia soltanto l'uomo, lasciato nella sua realtà terrena,
affinché nessuno rinunci ad imitarlo dicendo che per Lui, essendo Dio, è stato
più facile soffrire. Bisogna riflettere molto bene sull'agonia di Gesù: Egli
vuole che i suoi sensi la rifiutino a tal punto da provare il massimo della
sofferenza, quando devono piegarsi alla volontà divina. è così che ci
comportiamo noi quando il nostro istinto si ribella al volere di Dio? Io, in
maniera particolare, sono facile a cedere davanti al rifiuto che oppongono i
sensi. So che dovrei resistere, ma non lo faccio. Sono talmente preoccupato per
la mia reputazione e per la mia salute, che mi lascio sempre vincere dalla paura
che tutto possa nuocermi quando si tratta di mortificarmi. Questi timori nascono
da una pigrizia molto radicata e da un amore eccessivo per me stesso; così i
desideri dei miei sensi diventano sempre più forti, tanto che spesso hanno il
sopravvento.
Pensa,
anima mia, a quanto sei importante per Gesù. La sua vita gli è tanto cara, ma
tu lo sei ancora di più, poiché per salvarti accetta la morte. Pensa anche al
benefico esempio che mi viene offerto affinché io stesso collabori alla mia
salvezza. Gesù ha mille ragioni di amare e di voler conservare la sua vita
tanto preziosa, tuttavia non esita un attimo ad ubbidire al Padre, che gliela
chiede per liberare te dalla morte eterna. Ed è proprio l'amore all'ubbidienza
che gli fa disprezzare la sua vita come se appartenesse all'uomo più vile del
mondo.
Gesù
sa di dover morire non per i suoi peccati, ma per quelli del mondo, per i quali,
come mallevadore, si è spontaneamente offerto per rendere soddisfazione alla
giustizia divina. Ma questo non riesce affatto a consolarlo. Quando un vero
debitore è costretto a pagare, si rassegna, perché dice tra sé: "Io ho
fatto il debito, ed è giusto che sia io a saldare il conto". è molto
penoso, invece, per colui che garantisce per un altro dover dire: "Gli
altri hanno fatto i debiti, ed io devo pagarli". Ed è questa riflessione
che accresce i dolori di Gesù; per patire di più Egli considera la morte non
tanto come conseguenza della sua carità, quanto come il riscatto da Lui dovuto
alla giustizia di Dio.
Potrebbe
sembrare che la Passione non procuri tanta pena a Gesù, visto che Egli la
sceglie e la vuole liberamente. Proviamo a pensare ad un ammalato che viene
sottoposto ad un intervento chirurgico: questi non può sentire di meno il
dolore del taglio o della bruciatura per il solo fatto di aver dato il suo
consenso. Gesù patisce perché vuole patire, ma ciò non lo rende insensibile
al dolore, anzi soffre di più perché sa che maggiore è la sofferenza, più
abbondanti sono la redenzione umana e la soddisfazione divina; inoltre vuole
dare a noi un eccellente esempio di fortezza.
Meditiamo
seriamente sull'agonia di Gesù. Egli soffre quelle ansie e quelle paure che
anch'io dovrò soffrire quando si avvicinerà la mia morte. Nell'ultima ora
della vita la mia natura sarà sconvolta, perché dovrà spezzarsi quel vincolo
che lega lo spirito alla carne; l'anima si spaventerà, perché dovrà, di lì a
poco, comparire davanti al tribunale di Dio ed entrare nell'eternità. In
quell'ora io sarò molto avvilito, perché proverò tanti rimorsi per il mio
passato e non potrò sperare nell'avvenire. Se desideriamo essere aiutati e
consolati in quell'ultima lotta, dobbiamo confidare nei meriti di Gesù e
procurare di imitarlo. Come Egli anticipa con una forte immaginazione l'agonia
che patirà più tardi sul Calvario, così anche noi dobbiamo prepararci alla
nostra ultima agonia, pensandoci spesso ed immaginando ciò che allora
troveremo, in modo che non ci colga all'improvviso. è triste l'agonia di chi
arriva all'ultima ora senza averci mai pensato, è serena invece quella di
coloro che vi si sono preparati.
Una particolare disposizione fisiologica fa sì che il nostro corpo sudi quando è oppresso da un forte timore o da una grande lotta interiore. Gesù, che aveva immaginato con tanta precisione la sua Passione e la sua morte ormai imminenti, sentì stringersi il cuore per l'orrore e lo spavento, a tal punto che il suo corpo cominciò a sudare sangue.Nel calice l'Angelo presenta a Gesù due bevande particolarmente amare: la prima è preparata con le sofferenze che dovrà subire nella Passione e la seconda con il cumulo delle nostre colpe che deve espiare. Perciò Egli non suda sangue solo per la previsione delle atroci sofferenze che dovrà portare, ma ancora di più per le innumerevoli e gravi colpe che, per decreto divino, possono essere riscattate solo con l'effusione del suo preziosissimo sangue.
Dare
uno sguardo generale ai peccati commessi durante tutta la vita, serve molto per
suscitare il dolore; e questo è tanto più sincero, quanto più riconosciamo di
aver offeso Dio che è degno di amore infinito. Quanto grande sarà stato dunque
il dolore di Gesù nell'orto, visto che Egli si considera reo dei peccati non di
uno solo, ma di tutti gli uomini del mondo? Gesù soffre per ogni offesa che
viene fatta a Dio in proporzione a quanto lo conosce e lo ama; ora, poiché la
sua sapienza e il suo amore sono infiniti, infinito dovrà essere anche il suo
dolore. Egli vuole espiare per i peccati di tutti e li ha presi sopra di sé,
come se veramente fossero suoi, e visto che ha il potere di aumentare quanto
vuole la sua sofferenza, si può ben credere che abbia misurato l'intensità del
dolore con la gravità ed il numero di quei peccati.
Non
è possibile capire il dolore che causò a Gesù agonia e sudore di sangue
nell'orto. Per averne un'idea, si potrebbe dire che nel Getsemani è
misticamente avvenuto ciò che si fa nella vendemmia: l'uva, dopo essere stata
staccata dalla vite, viene gettata nel tino e pigiata, poi viene posta dentro il
torchio, e sotto la pressione di questo, il mosto sprizza fuori da ogni parte.
Nell'olocausto
della legge antica si offriva e si bruciava la vittima tutta intera, e Dio
l'accettava perché era figura di Gesù. Ora, quella figura la si deve
considerare realizzata.
Gesù
nell'orto sacrifica alla Maestà divina se stesso interamente, senza alcuna
riserva. Mentre patisce nel corpo grondante di sangue, patisce anche nell'anima,
oppressa da un'infinita tristezza perché sente vicina la morte; soffre infine
nella mente che è addolorata per l'infinita malizia dei peccati. Ogni parte
del suo corpo, quindi, e ogni facoltà della sua anima soffrono una Passione
molto dura che Egli offre al Padre in olocausto perfetto.
Dopo
aver considerato i motivi per i quali la volontà di Gesù è tanto angustiata
dal dolore e dall'odio dei peccati, dobbiamo ancora aggiungere una cosa molto
importante: la sua volontà ama infinitamente Dio e desidera la sua gloria.
Affinché l'umanità di Gesù fosse un olocausto perfetto in espiazione delle
nostre colpe, anche l'anima doveva essere sacrificata, quasi consumata. Per
riuscire a capire ancora meglio il sacrificio di Gesù, dobbiamo pensare che la
sua anima umana era sta creata apposta da Dio, perché lo amasse in un modo
ineffabile e che, perciò sia stato proprio l'amore per Dio l'arma che l'ha
ferita ed il fuoco che l'ha quasi completamente consumata. Quindi l'amore per
Dio e il dolore di contrizione per le offese fatte a Lui avevano la stessa
intensità.
Chi
ama Dio, ama anche tutto ciò che è da Lui amato. Per questo Gesù prova un
amore fortissimo per le nostre anime, visto che a Dio stanno tanto a cuore da
crearle a sua immagine. Solo per redimerle dalla morte eterna Egli è venuto dal
cielo, solo per la loro salvezza ha faticato durante tutta la vita ed è ora
disposto a patire e a morire unicamente per compiere questa missione.
Gesù
versa il suo sangue nell'orto per lo stesso motivo per cui versò calde lacrime
su Gerusalemme, e cioè a causa dei pensieri angosciosi che contribuiscono ad
aumentare le sue sofferenze. Egli vede che deve morire per tutti, affinché
tutti si salvino; ma vede anche che, per loro colpa, non tutti si salveranno e
inoltre che la sua morte sarà per molti oggetto di scandalo, poiché li renderà
più colpevoli e più meritevoli dell'Inferno. Quale pena per il suo cuore
amoroso! Morire per gli amici più cari potrebbe essere dolce, ma doverlo fare
per tutti, compresi i malvagi che diventeranno suoi nemici per l'eternità,
gli procura sofferenze terribili.
Possiamo
dire che il motivo fondamentale per cui Gesù agonizza e suda san&ue
nell'orto sia la carità, che è l'amore per Dio e per le anime. E questa che,
come un fuoco ardente, consuma il suo cuore e lo tormenta con un vivo desiderio
di patire e di riparare per noi nei confronti dell'Eterno Padre. Gesù è ansioso
di spargere il suo sangue più di quanto i suoi nemici siano ansiosi di
ucciderlo; e se la paura delle sofferenze fisiche tormenta la sua natura umana,
ancora di più geme la natura divina perché la Passione tarda a venire.
Più
forte soffiano i venti, più vigoroso divampa il fuoco. Così succede anche per
la carità di Gesù, che cresce con l'aumentare dell'ingratitudine umana,
chiamata dai santi Padri "vento maligno", perché è tanto forte da
prosciugare le sorgenti della misericordia divina.
Riflessioni
L'istinto
non vorrebbe patire, perciò combatte con la ragione che invece vuole
imporglielo per ubbidire a Dio. Nella lotta prevale quest'ultima e i sensi sono
vinti e prostrati da tanta violenza; è per questo che Gesù suda, ed il suo
sudore è sangue che sgorga da tutti i pori del corpo. Lo spavento gli ha fatto
affluire il sangue attorno al cuore, e, nello sforzo estremo che Egli fa per
superarlo, quasi gli scoppiano le vene e il sangue esce dai pori fino a cadere
in gocce sul terreno. Non è un effetto di debolezza o di fragilità questo
sudore di sangue, ma è un segno della forza d'animo che ha aiutato la ragione
ad avere la meglio. Una Passione così straordinaria non è opera della natura,
ma solo della volontà. Infatti Gesù vuole che la sua umanità patisca quanto
più le è possibile ed ha volontariamente spinto questa possibilità di
sofferenza fino a sudare sangue. Guarda, anima mia, il tuo Signore insanguinato
non a causa dei flagelli, delle spine o dei chiodi: è il sangue che Egli stesso
ha spremuto dal suo cuore per mostrare a tutti l'irruenza della sua pena
interiore, prodotta dal suo amore per noi. In questo stato Gesù rivolgendosi a
te dice: "Dimmi, anima cara: c'è stato forse qualcuno che abbia sudato
sangue come me? C'è stato mai un dolore simile al mio?".
Il
sudore di sangue per le sue sofferenze fisiche è un effetto dell'ubbidienza a
cui Gesù costringe la sua sensibilità umana, invece il sudore per le nostre
colpe è prodotto dall'intimo e profondo dolore con cui Gesù cancella i peccati
e placa la giustizia divina. Il nostro Salvatore, che ha sempre provato la
massima repulsione per ogni offesa fatta a Dio, sentendosi ora carico di tutti i
peccati del mondo, prova un orrore così grande che il suo corpo trasuda sangue,
e questo è talmente abbondante da scorrere a terra. Il sudore era stato dato
all'uomo come castigo per il peccato di Adamo, ora Gesù, come pena per tutti i
peccati, offre al Padre il suo sudore mescolato a lacrime e a sangue. Per noi il
suo dolore rimane un mistero, possiamo solo dire che Egli si strugge piangendo
i nostri peccati con lacrime di sangue. Anima mia, pensa che grande male è il
peccato, se fa agonizzare e sudare sangue addirittura al Figlio di Dio fatto
uomo.
Se
si unisse insieme tutto il dolore di pentimento che hanno avuto, che avranno e
che dovrebbero avere ora tutti i peccatori del mondo, sarebbe sempre poco se
paragonato al dolore che ebbe Gesù. Si legge che alcuni, per il dolore dei loro
peccati, si siano sottoposti a penitenze molto dure e che altri sarebbero
addirittura morti. Sotto il peso del suo dolore immensamente più intenso, come
confermano l'agonia e il sudore di sangue, sarebbe morto in ogni istante anche
Gesù, se la Divinità non avesse fatto continui miracoli per tenerlo in vita.
Anima mia, domanda a Gesù da dove gli venga tanta tristezza da farlo sudare
sangue, e vedi come ne sia tutta irrorata la terra dove sta inginocchiato.
Nell'attimo stesso in cui Egli si è rassegnato a dare il sangue per noi,
immediatamente l'ha versato. E come è vero che l'ha sparso tutto per me, è
altrettanto vero che quel sangue non mi sarebbe di alcuna utilità per il
perdono dei miei peccati, se anch'io non ne provassi dolore; invece sono
indifferente, anzi, neppure ci penso.
Allo
stesso modo il Cuore di Gesù, grappolo di uva dolcissima, era oppresso dal
pesantissimo torchio delle nostre colpe, di cui comprendeva la gravità. A tutto
questo si aggiungeva il peso della giustizia divina, per cui quel tenero cuore
fu talmente compresso dal dolore che il sangue sprizzò fuori da tutti i pori
del corpo così abbondante da scorrere a terra.
Riflessione
Quando la nostra volontà contrasta con quella divina, è allora che
pecchiamo. E il peccato non può essere cancellato se non con un atto opposto
della nostra stessa volontà, che si pente per l'offesa fatta a Dio. Gesù,
quindi, per tutta la vita ha impegnato la sua volontà nel rammaricarsi per le
nostre colpe, e lo fa anche ora nell'orto, ma in modo del tutto speciale, con
atti di dolore così intensi da fargli sudare sangue. Tutte le sofferenze di Gesù,
sia esterne che interiori, sono state gravi in maniera assoluta, e non possono
in alcun modo essere paragonate alle nostre. Tra tutte le sue pene, però,
dobbiamo meditare soprattutto su quelle che Gesù ha sopportato alla vista dei
nostri peccati, perché siamo tenuti anche noi a patire per lo stesso motivo.
Possiamo avere qualche giustificazione quando non riusciamo ad essergli vicino
negli altri dolori, ma non ne abbiamo affatto se non imitiamo il Salvatore nel
soffrire per i nostri peccati, perché, se vogliamo salvarci, è assolutamente
necessario avere una volontà penitente, che si angoscia per qualunque offesa
fatta a Dio.
Nei
martiri l'amore di Dio mitigava i dolori, in Gesù lo stesso amore li aumenta,
facendogli vedere un folto esercito di peccatori pronto a combattere contro
l'Onnipotente per sbalzarlo dal suo trono e, se fosse possibile, per ucciderlo
ed annientarlo. Egli ama Dio in una maniera del tutto particolare, dato che la
sua anima è intimamente unita al Verbo, perciò, vedendo quanto il Creatore
sia disprezzato ed offeso dalle sue ingrate creature, prova un dolore così
acuto da agonizzare e sudare sangue fino al punto di sentirsi mancare.
Gesù
vede un numero infinito di anime di infedeli che non lo avrebbero mai
conosciuto, di Ebrei, suoi fratelli secondo la carne, e specialmente di
cristiani, ancor più legati a Lui secondo lo spirito, che non avrebbero
approfittato della sua Passione e si sarebbero dannati. Nessuno può
immaginare quanto soffra a causa della compassione che prova per loro; possiamo
solo vedere il suo dolore proporzionato al livello della sua carità, al
numero delle anime ostinate nel male che si sarebbero perdute e all'orrore delle
pene infernali che queste avrebbero dovuto subire. L'apostolo Paolo, per la
compassione verso alcuni Israeliti che stavano per dannarsi, si addolorò tanto
che desiderò salvarli anche a costo della sua anima, se avesse potuto
togliersela senza peccare. Si legge che anche Mosè ardeva di altrettanto
zelo. E Gesù, che aveva verso le anime una carità immensamente superiore, che
cosa avrà patito? Un dolore tale da angosciarlo, sfinirlo e fargli sudar
sangue.
Gesù,
come Salvatore del mondo, vuole che tutti si salvino, ma, uniformandosi al
volere del Padre, non vuole che chi lo rifiuta venga salvato per forza. Egli
desidera che ognuno guadagni la salvezza usando la buona volontà. Purtroppo
vede che pochi ce l'hanno e che molti, invece, sono determinati al male; ed è
per questo che il suo dolore aumenta fino a farlo svenire e sudare sangue. La
sua carità, infatti, vorrebbe che neppure uno si perdesse. L'Angelo cerca di
confortarlo, ma ora questo amoroso Pastore che, lasciata la reggia celeste, è
venuto qui in terra a cercare la pecorella smarrita non può badare agli angeli.
Egli cerca anime: se venisse a Lui un Giuda o qualche altro grande peccatore
umiliato e contrito, lo accoglierebbe con una gioia tale da far diventare dolce
la sua sofferenza.
Tutto
questo Egli l'aveva predetto, quando aveva definito la sua Passione un
battesimo, per far capire che sarebbe stato immerso totalmente nel proprio
sangue. Parlò anche delle intollerabili angosce provocate dalla carità, per
cui le ore parevano anni nell'attesa del martirio tanto sospirato. La nostra
mente, però, non può comprendere l'immensità del suo dolore, perché non può
comprendere le dimensioni del suo amore. è l'amore che gli fa sudare sangue,
perché non sopporta che la redenzione delle anime sia ritardata anche di pochi
minuti.
Alla
mente di Gesù si presentano numerosi sia i peccati che verranno commessi sia i
peccatori che non si salveranno nonostante la sua Passione; ma non per questo
la sua carità si indebolisce, anzi, arde ancora di più. La ragione umana e i
sensi vorrebbero in qualche modo costringerlo a non accettare sofferenze che
per molti sarebbero state inutili, ma la sua carità lo infiamma e lo consuma,
come il fuoco la cera. In questa lotta della sua carità con l'ingratitudine
umana Gesù vede che Egli stesso, Redentore misericordioso, dovrà essere
anche Giudice giusto nel condannare molte anime peccatrici da Lui redente.
Nell'orto sente quella sentenza di condanna in modo chiaro e preciso, come se
dovesse pronunciarla in quell'istante. Che tormento per la sua carità! Gesù
non aspetta che arrivino i carnefici ad infierire su di Lui, ma li previene per
dimostrare, con un'abbondante effusione di `
sangue, quanto la sua carità sia ben più grande della loro crudeltà.
Mentre
meditiamo la Passione di Gesù, non dobbiamo dimenticare che nell'orto nulla
è avvenuto per caso. Il Getsemani, dove Gesù ha patito tristezze, paure e
sudori di sangue, e dove è stato catturato dai suoi nemici per essere condotto
alla morte, è situato alle falde del monte Oliveto, monte su cui poi è salito
ed ha lasciato impresse le sue orme, quando trionfante è asceso al cielo, come
aveva predetto il Profeta.
Bisogna riflettere anche su un'altra importante circostanza: presso l'orto del Getsemani, dove scorre il, torrente ° Cedron, c'è la valle di Giosafat, in cui secondo la tradizione avverrà il giudizio universale.
Riflessioni
Per il fatto che Gesù abbia patito nell'Oliveto e che dallo stesso Oliveto sia salito all'eterna gloria, dobbiamo persuaderci che la strada che ci porta in Paradiso è quella della sofferenza. Per questa strada ha dovuto camminare Gesù, e questa stessa dobbiamo percorrere anche noi, come Lui. Non si può godere in questo mondo e anche nell'altro, perciò dobbiamo rinunciare ai piaceri terreni che sono effimeri, oppure a quelli celesti, che sono eterni. Il segno più sicuro che un giorno ci salveremo è la nostra partecipazione alla Passione di Gesù; infatti, se in questa vita saremo stati compagni di Gesù nella sofferenza, ' ancor di più lo saremo nella gioia eterna.
Il
giudizio si svolgerà vicino al luogo dove Gesù ha effuso il suo sangue per una
ragione molto importante, perché sarà proprio con quel sangue che verrà
scritta la sentenza di salvezza per gli eletti e di condanna per i reprobi.
Colui che era già venuto come Salvatore si mostrerà nella sua dignità di
giudice e ci rivelerà tutto della sua dolorosissima Passione, anche quello che
ora non riusciamo a capire. Prima chiederà a ciascuno di noi se Egli avrebbe
potuto fare ancora di più per la salvezza delle anime, e poi vorrà sapere
quanto vantaggio avrà tratto dai Sacramenti, dalle indulgenze, dagli
insegnamenti, dalle ispirazioni e da tutte le grazie che sono il frutto della
redenzione da Lui operata ad un prezzo così alto. Ci farà vedere quindi come
abbia pagato i nostri debiti col suo sangue, Lui che non doveva niente a
nessuno. E mostrandoci infine quanto noi fossimo in dovere di corrispondere e
cooperare alla sua opera redentrice, renderà più evidente la nostra
ingratitudine, confrontandola con la sua immensa misericordia; e la sua santa
Passione costringerà i malvagi a coprirsi il volto per la vergogna.
Mentre
Gesù prega e soffre nell'orto, un folto gruppo di persone si raduna per
andare a prenderlo, visto che Giuda aveva avvertito che quello sarebbe stato il
momento più opportuno per catturarlo senza fare troppo chiasso. Gli Ebrei,
armati di spade, bastoni e lanterne, si avviano verso il Getsemani, guidati
dallo stesso Giuda che conosce bene le abitudini del Maestro.
I
Giudei si avvicinano all'orto furiosi contro Gesù desiderosi di mettergli le
mani addosso e di prenderlo; Gesù, invece, va loro incontro amabile e
mansueto, ansioso di essere catturato.
Giuda
sa che Gesù non potrà essere preso se non lo permetterà Egli stesso;
tuttavia, accecato dalla propria malvagità, si circonda di gente armata,
credendo di doverlo catturare con la forza. In mezzo a quella gente si trovano
anche molti sacerdoti e farisei, che altre volte avevano inutilmente mandato i
loro sicari ad arrestare Gesù. Ora, poiché non si fidano di quel traditore,
vogliono assistere di persona alla cattura del Maestro, per essere sicuri di
averlo finalmente nelle loro mani.
Ai
suoi nemici stesi a terra, Gesù domanda un'altra volta chi cerchino; tutti
allora si rialzano più inferociti di prima. Egli ha voluto dimostrare che non
potrebbero far nulla contro di Lui, se non lo volesse. E questo sarà di
conforto per gli Apostoli durante tutta la Passione, poiché sapranno che
nessuno lo avrebbe fatto soffrire né morire senza il suo permesso.
Riflessioni
Gesù sa tutto ciò che si sta tramando contro di Lui, tutto ciò che si dice e che si pensa, perciò vede in anticipo che Giuda si sta avvicinando; interrompe quindi la preghiera e va a svegliare gli Apostoli che dormono ancora, li avvisa e li incoraggia a sostenere la dura prova che li aspetta. Egli non si nasconde e non fugge, ma, allontanata la paura, che fino a poco prima lo aveva martoriato, va incontro ai suoi nemici con dignità e coraggio. Adesso dobbiamo cercare di capire che cosa Gesù vuole insegnarci. Egli prima aveva raccomandato agli Apostoli di pregare, per avere la forza di non cedere nella lotta che avrebbero dovuto sostenere, ora fa vedere col suo esempio, sia agli Apostoli che a tutti noi, quanto sia efficace la preghiera per moderare le passioni, per far svanire la tristezza e per fortificare lo spirito nell'obbedienza alla volontà divina. Egli era entrato nell'orto pieno di paura al pensiero di quanto avrebbe sofferto nella sua Passione e Morte. Nell'orto ha pregato tre volte, dopo di che va incontro con serenità e forza d'animo a tutto ciò che prima gli aveva causato tante angosce.
Soltanto chi non sa, o non vuol sapere, quanto sia grande il desiderio di Gesù di obbedire alla volontà divina per redimere il mondo, può chiedersi chi abbia desiderato di più la sua cattura, se Lui o i suoi nemici. Consideriamo da una parte i Giudei carichi d'odio, e dall'altra Gesù che s'avvicina ad essi con il volto sorridente e lo spirito pronto. Egli è il primo a parlare, domandando loro con amabilità chi cerchino; sembra quasi che si prepari a ricevere un augurio di felicità o un regalo prezioso. Una volta, quando la folla voleva farlo re, era fuggito, ma ora non fugge, anche se si aspetta di essere incatenato e condotto alla morte. Allora era stata l'umiltà a farlo fuggire, ora è la carità che lo trattiene e lo rende audace; è la carità che lo manda incontro ai tormenti e alle umiliazioni. Infine vuole dimostrare agli Apostoli sbigottiti che si arrende non perché vi è costretto, ma perché così ha liberamente scelto per obbedire alla volontà di Dio.
Tutti
sono certi che Gesù questa volta non potrà sfuggire, perciò si burlano di Lui
che si spaccia per Dio. Ma Gesù conosce i loro pensieri malvagi e vuole
confonderli. Chiede loro chi cercano; e dopo che essi hanno risposto: "Gesù
Nazzareno", aggiunge due sole parole: "Sono io". Allora,
sull'istante, come fossero spinti da una forza invisibile, tutti stramazzano a
terra. Gesù non chiama gli Angeli dal cielo per difenderlo, gli basta la sua
voce per dimostrare che è Dio. Egli aveva sempre voluto far vedere chiaramente
che in Lui la natura umana era unita a quella divina. E anche ora, dopo essersi
dimostrato agli Apostoli vero Uomo per la sofferenza provata, manifesta loro
anche la sua divinità dando alla sua voce una tale forza da spaventare a morte
i suoi nemici. Aveva interrogato costoro come un uomo qualunque che chiede
spiegazioni e poi li abbatte con la sua onnipotenza.
Se
Gesù soltanto con la voce ha fatto stramazzare a terra tutti coloro che erano
venuti a prenderlo e che lo avevano visto disposto a lasciarsi catturare,
immaginiamo lo spavento che dovrà causare la sua voce, quando verrà a
giudicare tutto il mondo. Se ora Gesù incute paura nonostante il suo
atteggiamento di umiltà, quale sarà la paura dei peccatori quando, nel giorno
del giudizio, vedranno comparire con l'autorità di giudice proprio Colui che
hanno tanto offeso? Sarà tremenda la sua voce che dirà: "Via, lontano da
me, maledetti!". E con essa, in un attimo, li farà sprofondare
nell'Inferno.
Giuda
aveva detto ai soldati che erano con lui: "Quello che bacerò è colui che
dovete prendere". Aveva anche raccomandato loro di legarlo molto bene e di
vigilare durante il percorso, per non lasciarselo sfuggire. Ora, precedendo il
gruppo, si avvicina a Gesù per dargli il bacio del tradimento.
Giuda,
avvicinatosi al Salvatore, prima di dargli il bacio, lo saluta con queste
parole: "Dio ti salvi, Maestro".
Giuda,
avvicinatosi a Gesù, lo abbracciò e gli diede un bacio sul viso.
Giuda ha salutato Gesù chiamandolo Maestro, e Gesù cortesemente gli ha risposto chiamandolo amico. Con sant'Ambrogio possiamo pensare che non sia inverosimile che il Maestro, con la sua carità senza limiti, abbia ricambiato il bacio, per far nascere in lui, con questo gesto d'amore, il pentimento ed il rimorso.
Riflessioni
Anima mia, fermati a riflettere un po' sul comportamento di Giuda; guarda quell'ipocrita che va incontro al suo Maestro con un volto gioviale per nascondere il tradimento e che lo consegna nelle mani dei suoi nemici con un bacio, il più bel segno d'amore. Lo aveva già predetto il Profeta, che con questo segno il Messia sarebbe stato tradito. Ma devi anche pensare che, pochi minuti prima, anche Giuda era caduto a terra come gli altri, quando il Salvatore aveva pronunciato le parole "sono io". Senza dubbio era rimasto sbalordito e spaventato davanti a quella manifestazione dell'onnipotenza di Gesù; è inconcepibile, quindi, che non abbia aperto gli occhi del cuore e non si sia convertito, spinto da un profondo timore di Dio. Se io mi sentissi gettare a terra da una mano invisibile mentre sto per commettere un peccato, credo che mi mancherebbe il coraggio di offendere Dio. Eppure Giuda, insensibile alla grazia, rende ancora più decisa la sua perfidia. Ma non dobbiamo meravigliarci, perché, quando siamo dominati da una passione, questa ci acceca, e rende inefficaci anche i più forti richiami alla conversione. Giuda è dominato dall'avarizia, e, poiché ha tradito per avidità di denaro, adesso che ha compiuto il misfatto, non vede l'ora di andare a riscuotere ciò che gli era stato promesso. è arrivato al punto di servirsi della più dolce tra le espressione d'amore, per commettere la più grande di tutte le malvagità. Se all'inizio del suo apostolato qualcuno avesse detto a Giuda che si sarebbe traviato fino al punto di diventare indifferente sia alla voce della misericordia che ai miracoli dell'onnipotenza, egli indubbiamente non ci avrebbe creduto. Eppure ciò è avvenuto dopo appena tre anni.
Si può essere più ipocriti di così? è un vero lupo vestito da pecora, che cerca di disperdere il gregge tendendo insidie al divino Pastore. Egli dà a Gesù un saluto d'amore, mentre prova per Lui un odio implacabile; gli augura la salute e lo consegna alla morte; gli dà il titolo di Maestro e calpesta i suoi santi insegnamenti. Immagina di trattare con un uomo comune che non vede la sua falsità, e crede di poterlo ingannare con un atteggiamento amichevole, mentre s'avvicina tendendogli le braccia. Quant'è grande l'amore di Gesù! Egli non scaccia la bestia feroce che lo assale, ma risponde con tenerezza a quell'ipocrita. Con voce dolcissima lo chiama per nome e gli dice: "Giuda, così dunque con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?". Il Salvatore si mostra a lui come uomo per la sua umiltà e mansuetudine, ma gli si manifesta anche come Dio perché ha scoperto la sua segreta decisione. A quale scopo risponde in modo tanto dolce e amichevole, quando Giuda meriterebbe solo risposte fredde e pungenti? Perché Giuda veda la carità e la pazienza di Gesù il quale spera ancora di intenerire il suo cuore e di indurlo a pentirsi. Purtroppo, nonostante tutto, quello sciagurato ha scelto ormai il male.
Giuda
ha l'audacia di servirsi di un segno d'amore per trasformarlo in un segno di
inaudita malvagità; usa un gesto di pace per rinnegare quella pace che aveva
giurato di portare agli altri, quando aveva scelto la strada dell'apostolato. E
come può quell'Agnello innocente tollerare di essere toccato ed abbracciato da
questo tizzone d'Inferno? Angeli del paradiso, ammirate e lodate con me la
carità e la dolcezza di Gesù. Egli non ritira il suo volto divino da quel
bacio pieno di veleno e di odio, che avrebbe potuto nauseare gli stessi demoni,
ma lo riceve con la massima tranquillità; si dimostra pacifico con chi si
ostina a non voler vivere in pace con Lui. Con la pazienza veramente propria di
un Dio, Gesù sopporta Giuda anche in quest'ultima ora; Egli sa bene che ormai
non si convertirà più, ma gli offre ugualmente il suo generoso perdono e
tollera il suo tradimento perché si realizzi la propria missione di salvezza.
Anima mia, che cosa possiamo dedurre da tutto questo? Dimentica per un attimo
la durezza di Giuda e ammira la benevolenza del Salvatore. Prova a riflettere
ora su questo consolante pensiero: se Gesù ha accettato di farsi baciare da
un ipocrita sacrilego ed ostinato che aveva sulle labbra il veleno del
tradimento, come potrà non lasciarsi baciare da chi gli si avvicina con il
cuore pentito e con un vivo desiderio di amarlo e di obbedirlo?
C'è
una differenza profonda tra il bacio dato dal traditore che cerca di portare la
morte, e quello del Salvatore che vuole donargli la vita. Inoltre Gesù accetta
quel segno di morte, mentre Giuda rifiuta l'offerta della vita. Riflettiamo ora
anche su quel saluto che è l'ultimo sforzo della benevolenza e dello zelo con
cui Gesù cerca di indurre Giuda a convertirsi: "Amico, gli dice, che sei
venuto a fare qui?". Lo chiama amico per assicurargli con delicatezza che
lo ama ancora. Con questa parola tenta di fargli capire che è male essere
nemico di Dio; gli offre il suo perdono e la sua amicizia, alla sola condizione
che si penta di averlo offeso. Ma Giuda, nonostante abbia avuto tante prove
della carità del Figlio di Dio, più crudele di una fiera, non si arrende. Alla
fine la bontà di Dio viene confermata dalla sua infinita misericordia, e la
malvagità di Giuda dal suo stesso peccato.
Appena
Gesù ha ricevuto il bacio da Giuda, subito i Giudei corrono impetuosamente
verso di Lui e lo circondano senza pietà. Ma non badiamo per ora alla ferocia
di costoro, osserviamo piuttosto la carità di Gesù. Egli si preoccupa
soltanto di garantire agli Apostoli la sicurezza, perciò comanda che non sia
fatto alcun male a coloro che sono con Lui, ma che la furia dei suoi nemici si
scateni solo contro la sua persona.
Mentre
Gesù spontaneamente si lascia avvicinare e catturare, i Giudei gli sono subito
addosso. Ma ecco che san Pietro, impetuoso come sempre, si fa avanti per
difenderlo; e, poiché ha portato con sé una spada, forse per mantenere
l'impegno di quella sua dichiarazione di essere pronto a dare la vita piuttosto
che mancare di fedeltà, colpisce alla cieca uno dei più facinorosi e gli
recide un orecchio. Egli crede di aver fatto un'azione degna di lode in difesa
del suo Maestro, invece, anche se la sua intenzione è buona e lo scopo è
giusto, Gesù lo rimprovera e gli dice chiaramente che, se volesse essere
difeso da qualcuno, potrebbe contare su tutte le schiere celesti.
Gesù,
dopo aver dichiarato a Pietro che non vuole essere difeso con le armi, si
avvicina a colui al quale era stato reciso l'orecchio e, con un tocco della
mano, lo guarisce perfettamente. Con questo gesto vuole dimostrarci di essere
non solo mansueto ma anche benefico verso i suoi nemici.
Pietro
vede la mansuetudine e la carità di Gesù nel miracolo dell'orecchio reciso e
subito guarito, ma non sa ugualmente né rassegnarsi né convincersi che il
Figlio di Dio deve cadere nelle mani dei suoi nemici. La fede e l'amore di
quest'Apostolo verso il suo divino Maestro è grande, perciò lo addolora troppo
il pensiero che Egli debba morire. Ciò nonostante Gesù lo rimprovera, come
aveva già fatto un'altra volta, e gli dice con dolcezza: "Non devo forse
bere il calice che il Padre mio mi ha dato?"
Nel
momento stesso in cui viene catturato, Gesù, con animo sereno e con voce calma,
parla ora a Giuda, ora agli Apostoli, ora agli stessi Giudei. Come se la sua
vita non corresse alcun pericolo, non si preoccupa d'altro che di essere utile
alle anime con le parole, con l'esempio e con i miracoli. Davanti a tutti, in
prima fila, vede i capi della Sinagoga che avanzano verso di Lui per arrestarlo,
e, ricordando con dolcezza la sua predicazione nel tempio, dice loro: "Se
volete catturarmi con la forza come se fossi un ladro, vi siete armati
inutilmente, perché le armi non vi servono per catturare uno che non fa
resistenza e che anzi si consegna spontaneamente nelle vostre mani. Come non
siete riusciti a catturarmi nel tempio, così nemmeno ora mi prendereste se io
non lo volessi".
Che
cosa sarebbe stato di noi, se Gesù non si fosse lasciato catturare? Egli si era
già recato nell'orto con l'intenzione di offrirsi ai nemici e adesso dà loro
il permesso di prenderlo. Immediatamente, come furie scatenate, costoro si
avventano contro di Lui e, poiché temono che riesca a sfuggire dalle loro
mani, lo legano strettamente con funi e catene. Esultanti di gioia, tutti
vogliono mettergli le mani addosso, per potersi poi vantare di aver partecipato
alla sua cattura. Lo percuotono con pugni, bastoni e spade, lo maltrattano e lo
scaraventano a terra, come se fosse l'ultimo dei malfattori.
Sarebbe
veramente strano se il buio non scomparisse in presenza di una luce
sfolgorante; ebbene questo si verifica proprio per quei poveri Giudei che stanno
intorno a Gesù. Essi, infatti, invece di lasciarsi illuminare per poter
riconoscere il loro peccato, diventano sempre più ciechi, fino al punto di
legare Gesù ai fianchi, al collo e ai polsi, continuando ad insultarlo e a
maltrattarlo con accanimento.
Vedendo
Gesù carico di funi, di catene e di oltraggi, dobbiamo dedurre che si è ormai
avverato quanto sia Lui che il Profeta avevano predetto, che cioè sarebbe stato
catturato dai peccatori solo a causa dei nostri peccati.
Gesù
benedetto aveva già annunziato che tutti i suoi discepoli, sorpresi dalla
tentazione ed intiepiditi nella fede, lo avrebbero abbandonato, come pecorelle
impaurite che si sbandano di qua e di là quando il pastore è assalito da
qualche animale feroce. Gli Apostoli in quell'occasione non gli credettero, e
protestarono con ardente zelo che sarebbero morti con Lui piuttosto che
abbandonarlo.
Riflessioni
Il buon Pastore permette a quei lupi di avventarsi contro di Lui per straziarlo, tanto è grande la sua sollecitudine nel custodire le sue pecorelle e conservarle illese. Infatti nessuno degli Apostoli viene offeso o arrestato. E questo non succede certo perché i Giudei sono benevoli nei loro confronti, anzi, è lecito pensare che avrebbero voluto arrestare anche gli Apostoli come complici di un malfattore. Ma Dio non lo permette, Lui che sa e può farsi obbedire da chiunque, come e quando vuole. C'è da osservare che quanto ha fatto nell'orto per custodire gli Apostoli, il Salvatore lo fa continuamente nella Chiesa per proteggere i suoi fedeli, dei quali gli Apostoli sono l'immagine. Com'è dolce questo pensiero che ci invita a stringerci sempre di più al nostro Redentore! I peggiori nemici della nostra salvezza eterna sono i demoni, che, invidiosi e maligni, desiderano solo la nostra dannazione. Ma anche se tutto l'Inferno si armasse contro di me, di che cosa devo aver paura, visto che Gesù è il mio difensore? Come non c'è difesa per chi è nemico di Dio, così nessuno può nuocere a chi lo serve fedelmente.
Gesù cerca di salvare non se stesso, ma noi; quindi, se non si difende, non è perché non possa, ma perché non vuole, e non vuole sia per obbedire all'Eterno Padre, sia per lasciarci un esempio di mansuetudine. Questo è infatti per noi un prezioso insegnamento. Secondo quanto ci suggerisce la ragione, il più delle volte è lecito difenderci, ma se vogliamo imitare Cristo è molto meglio sopportare le offese anziché reagire. Potersi difendere e non volerlo fare sembrerebbe un'azione veramente difficile, quasi eroica, poiché richiede virtù eccezionali. Ma se ci rivolgeremo con amore a Gesù, avremo un aiuto molto efficace, perché Lui, anche se non permette a nessuno di difenderlo, può e vuole proteggere i suoi fedeli.
Egli
avrebbe potuto guarirlo solo comandandolo con la mente, invece usa anche la mano
per far vedere il miracolo a tutti; infatti vuole che tutti sappiano che Egli è
l'UomoDio, che tocca e guarisce con la stessa mano con cui ci ha creati.
Veramente nessuno può essere più paziente e benevolo di Lui. Poco prima
aveva compiuto un miracolo di giustizia facendo stramazzare a terra i suoi
nemici, ora ne compie uno di misericordia guarendo la ferita del più impetuoso
tra coloro che stanno per aggredirlo. Questo è un miracolo della sua carità,
che rende bene per male e dona la salute a chi è venuto per condurlo alla
morte; ed è anche un ottimo insegnamento per me, che devo imparare come comportarmi
con i miei nemici. Gesù aveva già insegnato con la predicazione a far del
bene a chi ci offende, ora ce lo insegna anche con l'esempio.
Per
prima cosa dobbiamo osservare che il Salvatore chiama "calice" la
sua Passione la quale, per la vastità e il sapore sgradevole, è paragonata dai
Profeti ad un mare. La chiama così perché alla sua carità sembra poco tutto
quello che deve patire; per la sua sete immensa, infatti, un mare di sofferenze
non sembra altro che un piccolo calice, che Egli non vede l'ora di bere, come se
fosse pieno di soavi dolcezze. Dare poca o nessuna importanza alle pene e alle
fatiche è una caratteristica dell'amore; a Gesù, quindi, sembra dolce e
desiderabile la sua Passione, proprio perché deve patire e morire per coloro
che tanto ama. Osserviamo inoltre che Gesù sceglie come simbolo della sua
Passione un oggetto prezioso, poiché la considera un regalo gradito ricevuto
dal Padre. E il pensiero che il Padre celeste ha disposto che Egli patisse non
perché costretto, ma per una libera scelta dettata dalla carità, lo rinfranca
talmente da fargli accettare la Passione, come se fosse un bellissimo calice
d'oro pieno di dolce liquore. Anch'io nelle avversità devo comportarmi come Gesù:
devo considerarle come favori, come grazie concesse dal Padre celeste e ripetere
spesso e con affetto le sua parole: "Come potrò io non bere il calice che
il mio divin Padre mi porge?". Benedetto sia Dio che è sempre Padre
amoroso, sia quando toglie ai suoi figli il benessere e la gioia, sia quando li
concede loro allo scopo di elevarli fino a sé.
Gesù
ha parlato così chiaro che tutti i presenti avrebbero dovuto riconoscerlo come
Dio. Invece, accecati dalla propria malvagità, non si arrendono né ai miracoli
né al bene che Gesù ha fatto loro sia nel passato che al presente,
disprezzando così la misericordia divina. Proprio nella notte stessa in cui
hanno celebrato con la Pasqua l'anniversario della loro liberazione dalla
schiavitù d'Egitto, si accaniscono contro il divino liberatore per metterlo a
morte.
Contempla,
anima mia, il Salvatore divino in mezzo a tanti oltraggi. Considera come Egli
non reagisca, non si difenda e non si sdegni, ma si lasci fare tutti i
maltrattamenti, come se non avesse né la forza di spirito per reagire, né il
sovrumano potere di annientarli. Carichi d'odio, i Giudei sono contenti di
averlo tra le mani; ma anche Gesù, tutto amore per il Padre celeste e per noi,
gioisce perché è giunta l'ora della Passione da Lui tanto desiderata ed
attesa.
è
una grande umiliazione per Gesù vedersi legato, come se fosse stato catturato
con la forza, mentre Egli stesso si è arreso ed è ora disposto a seguire
dovunque i suoi aguzzini. Patire e morire con le mani legate è sempre un
disonore per un eroe, perché potrebbe essere giudicato dagli altri un ribelle o
un pauroso che subisce la pena senza alcuna forza d'animo. Non è possibile,
quindi, pensare che nostro Signore sia rimasto indifferente nel vedersi legato
a quel modo. Egli patisce ancor di più perché, come dice il Profeta, sente
tutto il suo corpo stretto da altri vincoli molto più dolorosi di quelli
materiali. Sono tutti i peccati da Adamo fino alla fine del mondo, che, riuniti
insieme, formano una catena così lunga e così grossa da avvilirlo e da
sfibrarlo tanto da non potersi più reggere in piedi. Tuttavia Egli la sopporta
con coraggio, perché sa che solo la sua sofferenza potrà spezzarla. Per
questo, dunque, si è lasciato legare: per poter liberare le nostre anime
sciogliendole dalla catena dei nostri peccati.
Ecco,
ora Gesù è nelle mani dei peccatori. Non sono stati i Giudei a prenderlo con
le armi e a legarlo, ma è stata la divina carità con i suoi profondi misteri a
consegnarlo, perché così Egli stesso aveva predisposto. Anima mia, guardando
ancora il tuo Signore così maltrattato da quei malfattori, pensa che Egli si è
abbandonato al furore dei peccatori proprio per salvarli. Cerchiamo di penetrare
col nostro pensiero riverente nella sua anima santa e vedremo rinchiuse in essa
tutte le pene interiori e misteriose che poco prima aveva offerto al Padre; ora
Gesù include nella sua offerta anche i dolori del corpo. Arriva al punto di
baciare quegli orribili legami e di essere contento che gli sia tolta la libertà,
affinché a noi sia restituita la libertà dei figli di Dio. Non pensa affatto a
come liberare se stesso ma a come poter liberare e salvare noi dal peccato.
Mio
dolcissimo Signore Gesù Cristo, io ti supplico affinché la tua santissima
Passione sia per me la forza che mi fortifichi, mi protegga e mi difenda; le tue
santissime Piaghe siano il cibo che mi alimenti, mi riscaldi e mi rallegri;
l'aspersione del tuo Sangue mi purifichi da tutti i peccati; la tua Croce sia la
mia gloria; la tua Morte sia per me pegno di vita eterna. In queste cose il mio
cuore trovi il suo ristoro, la sua gioia, il suo amore, la sua vita. Amen.
Tratto da: "La
Passione di Gesù Cristo" ©Edizioni
ESDM Imprimatur: † Vittorio Tomasetti Vescovo di Palestrina Palestrina 11
maggio 1966.