ORA SANTA
CON ALEXANDRINA
La
mia anima vide Gesù scendere la scala e incamminarsi verso l'Orto.
Sul pianerottolo stava la mamma, avvolta in un manto, con gli occhi lacrimosi.
Fissava
Gesù che stava allontanandosi.
Triste
separazione!
Gesù ben sapeva che poche ore più tardi lei avrebbe voluto prenderlo tra le braccia, curargli le ferite. Ma non avrebbe potuto dargli neppure un lieve conforto con le sue dolci parole di madre.
Già
un poco distanziato, Gesù si voltò a fissarla nuovamente, come per darle un
altro addio.
Ella
fissava il suo Gesù dalla cima della scala. Gesù scomparve, ma rimasero sempre
uniti.
Vidi
gli sguardi addolorati della mamma, quando ormai non scorgeva più il suo Gesù.
E
vidi quanto il suo cuore santissimo lo seguiva, intuendo le sofferenze cui
andava incontro.
Che
unione di dolore e di amore!
Sento
che tutto fugge lontano da me.
E
resterò completamente sola nell'Orto, nella più grande agonia!
Fuggo
verso la solitudine, per poter piangere in silenzio.
Quante
lacrime di sconfitta!
Ad
ogni passo che faccio, sono montagne che cadono su di me.
Ad
ogni passo, sento come se mi fermassi per riposare: l'anima è affaticata.
Tutto
il cammino è spinoso (spiritualmente): grossi rami intrecciati di spine mi
feriscono. Ansie e sete di amore si estendono a tutto il mondo.
E
la ricompensa per questo amore è fatta di spine tanto vive e penetranti, che mi
avvolgono il cuore in un groviglio enorme.
Ma
le fiamme d'amore che escono dal cuore superano le spine e si levano in alto.
Fortificata
da sforzi interiori, dagli sforzi dell'anima, cammino.
La
mia anima avanza verso l'Orto, trascinata dall'amore.
Il
cuore sta abbracciato strettamente a tutta la sofferenza.
Gesù,
mansueto, con i suoi sguardi divini seguiva da lontano Giuda là in basso, di
casa in casa, mentre concludeva la vendita. Al braccio portava la borsa con il
denaro.
Gesù
tutto vedeva, ma nulla diceva ai suoi apostoli.
Piangeva
nascostamente.
Li
precedeva triste e silenzioso.
Io
vidi che essi non si preoccupavano, né soffrivano per ciò che stava per
accadere. Camminavano stanchi.
Erano
stanchi per le grandi meraviglie, per quanto avevano visto e udito da Gesù.
Camminavano
silenziosi, ma quanto diceva loro Gesù col suo silenzio!
Come
li amava, come parlava loro quel cuore divino, tanto oppresso dal dolore e dalla
fatica!
Appagati,
seguivano il loro Maestro con tutta tranquillità.
Mentre
Gesù camminava ansante, scorrevano gocce di sudore lungo tutto il suo corpo.
Di
tanto in tanto, si voltava a fissare la città, che restava là in fondo.
I
suoi sguardi divini scrutavano tutto, nonostante l'oscurità.
E
dal cuore gli usciva il dolce lamento: "Non bado alla tua ingratitudine:
vado
a morire per te".
Gesù
si inabissò nella sofferenza.
Raccolse
nel suo cuore tutta l'ingratitudine e la malvagità che vedeva.
Quell'abisso
di odio e di dolore accompagnò Gesù all'Orto.
E
Gesù condusse me.
Il
cuore divino di Gesù si sentiva calpestato dall'umanità.
Vicino
al suo, nella medesima sofferenza, vi era il cuore della mamma.
Io
sentivo come se il cuore di lei volasse verso Gesù, e la violenza del dolore
trascinasse insieme al cuore tutte le vene del corpo.
Lungo
il percorso mi attraversavano il cuore i sospiri e le lacrime della mamma.
Non
con gli occhi del corpo ma con quelli dell'anima la vedevo nell'atrio della
sala della cena, con il santissimo volto tra le mani: la vedevo piangere di
dolore.
Sentivo
come se io portassi la Madre addolorata dentro il mio cuore:
come
un tempo lei aveva portato Gesù nel suo grembo purissimo.
Il
mio cuore era il sacrario che la accolse con tutti i suoi dolori:
così
lei fu sacrario che accolse Gesù con tutta la sua vita, divina e umana.
Con
quale raccoglimento io la portavo!
Gesù
stava per giungere all'Orto, e la mamma piangeva ancora.
Gesù
vedeva bene e sentiva le lacrime della sua mamma benedetta.
Trascinata
da correnti d'amore, entrai nell'Orto.
Vedevo
i suoi ulivi.
Vedevo
il chiarore della luna, impallidito, e lo scintillio delle stelle, triste, come
triste era il cuore divino di Gesù.
Tutto
appariva attraverso il fogliame, ma con mestizia tale che invitava solo al
dolore, al silenzio, al raccoglimento.
Nell'oscurità
degli ulivi, Gesù affrettò il passo: andò in un luogo appartato a pregare.
Gli
apostoli si addormentarono.
Vidi
gli ulivi, quasi coprire Gesù con il loro fitto fogliame molto verde.
Li
vidi testimoni della sua sofferenza, come se di lui avessero compassione.
Nella
solitudine, mi sentivo piegare le ginocchia per pregare.
Orto
di tristezza, Orto di agonia!
Un
Orto mondiale, lastricato di dure pietre: una roccia irriducibile.
Quante
sofferenze vede la mia anima per sé e per il corpo! Nulla le resta occulto.
Già
sento nell'anima il dolore del bacio ingrato che questo viso riceverà.
Sento
lo schiaffo, il viso sputacchiato, gli occhi bendati.
Sento
il rinnegamento di Pietro. Vedo il braciere e alcune persone attorno. Odo il
gallo cantare.
Dolore
indicibile, paragonabile a quello del tremendo schiaffo.
Mi
vedo schernita, di tribunale in tribunale, tra lo schiamazzo del popolo.
Vedo
l'anello di ferro che sta infisso nella colonna. Sento nel cuore i lacci che
mi legheranno ad essa.
Vedo
i flagelli che mi colpiranno il corpo e che già mi colpiscono l'anima.
Odo
il sibilo delle corde e delle verghe. Vedo il rancore con cui sarò fustigata.
Già
soffro come se fossi lacerata dai flagelli, coronata di spine e così condotta
alla balconata di Pilato, con una canna in mano e una vecchia cappa sulle
spalle.
Io,
nel massimo abbattimento, in mezzo a tanti aguzzini!
Vedo
la folla, odo le sue esclamazioni: devo essere condannata a morte!
In
direzione dell'Orto viene il Calvario.
Vedo
il percorso lungo il quale dovrò cadere per il peso della croce.
Mi
sgomento per la visione della salita. Come dovrò affrontarla? Oppressa dai
maltrattamenti. Comincio a tremare, e tutto il suolo pare tremare con me.
Sento
la crudeltà con la quale verrò spogliata: si staccano, con le vesti, brandelli
di pelle e di carne!
Sento
come se spogliassero non solo il mio corpo, ma anche l'anima. Il dolore che la
penetra è mortale.
Vedo
i chiodi, il martello, la croce eretta! Mi vedo crocifissa su di essa!
Tutte
le sofferenze mi sono anticipate.
E
non vado incontro a un Calvario di un solo giorno, ma di molti e molti secoli!
Che
cosa è mai il dolore! Cosa sono le sofferenze dell'Orto!
Il
mondo non le conosce.
Fu
il cuore a ricevere tutti i maltrattamenti. Mi pareva che, disfatto in sangue,
strisciasse sul suolo dell'Orto come se fosse un serpente velenoso, su cui tutti
scaricavano le più grandi atrocità per togliergli la vita.
Il
cuore, però, amava più di quanto fosse ferito.
Divenne
come nube che, invece di assorbire acqua, assorbiva ogni dolore e martirio.
Dolore e martirio che si trasformavano in sangue, sangue che avrebbe irrorato
tutto il Calvario e, nel Calvario, l'umanità intera.
Ebbi
la visione del sangue che stavo per versare e, allo stesso tempo, dei fiori
che nascevano dal sangue.
Tra
questi fiori si propagavano siepi di spine acutissime, per la maggior parte
bagnate di sangue.
Vedevo
il frutto e vedevo l'ingratitudine, vedevo la gloria e vedevo l'iniquità.
Il
mio cuore era percosso dalla indifferenza generale per il mio soffrire.
Non
vi sono parole capaci di descriverne l'agonia.
E
la mamma, dov'era in quell'ora?
La
mia anima la vedeva e il cuore la sentiva tanto lontana, là nell'atrio, presso
la scala. Fissava le strade che Gesù percorreva, i luoghi in cui si trovava.
Il
suo cuore, legato a quello di Gesù, presentiva quanto egli andava a soffrire,
e con lui provava lo stesso dolore.
Con
profondi sospiri mormorava:
«Figlio
mio, mio caro figlio, quanto tu soffri!». Copiose lacrime scorrevano sul suo
volto.
Passavano
attraverso il mio cuore le lacrime innumerevoli da lei versate.
Quanto
soffriva per la separazione e la dipartita di Gesù!
Gesù
soffriva in grande agonia: soffriva per i patimenti che lo aspettavano e per le
sofferenze della mamma.
Egli
vedeva dove ella stava, vedeva la distanza che li separava. Dolore senza
l'uguale!
Il
dolore mi lacerava il cuore e l'anima.
Vidi
la grande sala in cui fu trattata la vendita di Gesù e dove Giuda, disperato,
andò poi
a
scagliare la borsa con il prezzo del sangue innocente.
Vidi
lontano un albero al quale stava appeso Giuda.
Da
esso lo vidi cadere al suolo e scoppiare. Vidi spandersi sul terreno ciò che il
corpo conteneva.
La
vendita di Gesù, la consegna, il bacio traditore lo portarono a quell'atto di
disperazione.
Tutto
sentii nella mia anima.
Io
mi sentivo l'unico albero del mondo che si trasformava in virgulti floridi, cui
dava nuova vita: la Vita del Cielo.
Ma
per questo dovevo affrontare tutto l'Orto, tutto il Calvario e, alla fine,
morire sulla croce!
Non
importava la morte.
Ciò
che importava era dare nuove vite.
L'amore
mi obbligava al dolore.
Ad
occhi chiusi, labbra mute, mi consegnai a tutto. Andai verso la morte.
In
me sentivo che dovevo morire. E volevo morire.
Senza
la morte, non avrei portato a termine la missione che dovevo compiere sulla
Terra.
Si
lanciò su di me, con il suo peso, tutto quanto di brutale è nell'umanità.
Mi schiacciò, mi tolse la vita.
Ma
un'altra Vita, superiore, sublime, molto sublime, diede accesso nel cuore a
tutta l'umanità e la avvolse in un incendio d'amore.
Fu
tale l'irradiazione, tale la follia d'amore, che fece dimenticare la crudeltà
umana. Trionfò sulla morte e abbracciò tutta l'ingratitudine.
Questo
abbraccio fu eterno.
Gesù,
con la sua luce, mi fece vedere e comprendere che questo era il suo abbraccio
eterno alle anime: era per loro la sua vita eterna d'amore.
In
questo momento culminante, sentii Gesù che fissava il mondo.
Con
profonda tristezza nel suo cuore, diceva: «Tanta ingratitudine verso tanto
amore!».
Non
erano bene accetti i suoi patimenti, il suo divin sangue, la sua morte!
è
nell'Orto che chiamai a me il mondo.
Sopra
il suolo dell'Orto si innalzò un mare immenso, le cui onde si scagliavano
contro di me.
Tutto
attorno a me era mare: battevano contro di me le onde furiose, come se io fossi
la banchina.
Travolta
da queste, caddi nella terra immonda e macchiata. Tutte le macchie erano mie.
Tremavo di paura e mi pareva che la terra tremasse.
Ero
coperta dalle iniquità che attiravano su di me la giustizia dell'Eterno Padre.
Quante
lacrime di vergogna, nel vedermi rivestita di tutte le malvagità e nel
trovarmi in tale stato alla presenza del Padre!
La
vergogna di me stessa e il peso della giustizia divina obbligarono la terra ad
aprirsi ed obbligarono me a nascondermi in essa.
Mi
inabissai in quel suolo duro.
Ne
rimasi avvolta come in un manto.
Io,
tutta mondo, tutta corruzione e peccato, divenni responsabile davanti
all'Eterno Padre. Ero solo io a pagargli questo ineguagliabile debito!
Per
un mare di peccato e di corruzione, un mare di sangue e di purificazione.
Tutto
il mio essere divenne Orto. Tutto il mio essere divenne sangue.
Fui
posta su quel suolo duro per essere responsabile di tutti e scandalo per una
gran parte: questi erano ribelli, martirizzatori, assassini.
Il
mio grido al Cielo irruppe nella solitudine attraverso le tenebre della notte,
tra il fogliame verdeggiante degli ulivi.
Gridavo
tanto, ma quel grido rimaneva come perduto in un bosco: neppure il Cielo mi dava
ascolto.
Tanto
si era allontanato da me il Cielo, che rimasi come se dalla terra non potessi
fissare il firmamento.
Tutto
era sparito. Soltanto l'Orto restò.
L'Eterno
Padre si era occultato: pareva non esistere. Ma la sua giustizia divina
scendeva come nere nubi a schiacciarmi.
Il
suolo dell'Orto e la giustizia divina erano per me come pietre da mulino, che mi
frantumavano in dolore e polvere.
Io
ero il chicco di grano macinato, trasformato in farina. E questa continuava ad
essere macinata e rimacinata, fino a scomparire.
Io
ero il piccolo grappolo d'uva, premuto dal torchio.
E,
dopo aver dato tutto il succo, quel grappolo doveva sottostare ancora a nuovi
torchi, i quali lo spremevano sempre, fino all'esaurimento.
La
giustizia divina gravava su di me, ma si mitigava nei riguardi della Terra
colpevole.
La
notte oscura e serena, in cui non si muoveva una sola foglia, se non quando il
dolore faceva tremare tutto, invitava alla solitudine e faceva sentire di più
l'abbandono, persino quello dell'Eterno Padre.
Mentre
gli apostoli dormivano, Gesù rimase per un po' vicino a loro.
Nel
momento in cui aveva più bisogno degli apostoli amici e compagni suoi per
tanto tempo meno li aveva, minore era la loro preoccupazione: essi
dormivano tranquilli, di buon sonno.
E
Gesù soffriva per questa loro assenza.
Con
gli occhi fissi al Cielo, parlava rivolto al suo Eterno Padre.
Il
dolore giungeva fino a Dio.
E
il Suo abbandono si univa a quello dell'umanità.
Le
stelle brillanti erano come lumi che, attraverso le fronde degli ulivi,
venivano ad illuminare l'Orto oscurato.
Ma
per Gesù non brillavano, non davano luce: a lui non rispondeva l'Eterno Padre.
Però
la sua anima parlava infinitamente, e il suo cuore infinitamente amava.
Mi
sentii in piedi. Tenevo nelle mani tremule il calice, che non cessava mai di
traboccare: vi cadeva dentro una sofferenza senza fine. Quel calice era come una
coppa che riceve acqua da una fonte che non si secca mai.
Gesù,
in me, prendeva il calice dell'amarezza e più volte lo offriva all'Eterno
Padre.
Io
ero Gesù, e Gesù era me: eravamo la medesima offerta al Cielo.
Nel
mio cuore sentivo Gesù ripetere: «Padre, Padre, Padre!
Allontana
da me questo calice, se è possibile. Ma sia fatta la Tua volontà: voglio
morire per dare la Vita».
In
questo momento di accettazione, mentre chiedeva al Padre di allontanargli la
sofferenza, ma allo stesso tempo voleva solo la Sua volontà, il volto di Gesù
era bello, molto sereno, con gli occhi fissi al Cielo:
li
sentivo nella mia anima splendere come due soli.
In
quella dolorosa agonia, con il cuore dicevo:
«Gesù,
se è possibile, allontana da me questa sofferenza!».
Ma
subito mi gettavo verso di lui a braccia aperte, come fossi bruciata dalle
fiamme, per tuffarmi in un mare di frescura e di soavità: «Non sia fatta la
mia, ma la tua volontà.
O
mio Dio e mio Signore! Voglio consolarti e darti anime».
Vidi
una strada interminabile, coperta di robusti grovigli di spine: tutte quelle
spine dovevano ferirmi!
Il
mio buon Gesù mi fece comprendere e vedere nell'anima, con una luce molto
chiara, che quelle spine avrebbero ferito attraverso i tempi fino a quando
sarebbe esistito il mondo non il mio ma il suo divin cuore.
Vorrei
saper esprimere l'immensità di quella strada spinosa e il modo in cui Gesù
veniva ferito. Ma non so. Seppi appena vedere e comprendere. E rimasi in quel
dolore, in quell'angoscia spaventosa.
Vidi
la cara mamma preoccupata, in amarezza, in angoscia.
Dove
si trovava il suo Gesù? Che cosa soffriva in quelle ore?
Egli
pregava con il petto appoggiato ad un duro masso ed era circondato da
inestricabili grovigli di spine, che si intrecciavano gli uni negli altri.
Tanto
dolore causava meraviglia e ammirazione agli angeli che dal firmamento, come
stelle, lo contemplavano.
Soltanto
il Cielo comprendeva il dolore di Gesù. Dopo il Cielo, era la mamma a
comprenderlo e a viverlo.
Quanto
si amavano Gesù e la mamma e come si vedevano l'uno attraverso l'altra!
Tutta
la Terra persino i discepoli ignorava il dolore di cuori tanto amanti!
Poiché
l'agonia aumentava, mi buttai con il volto a terra.
Sul
suolo duro, in una oscurità spaventosa, forti tremori mi pervasero il corpo.
Mi
prostrai a terra in più luoghi.
In
uno più solitario andai di nuovo a pregare da sola.
Dopo,
tornai a cercare la compagnia di quelli che amavo.
Che
mancanza di preoccupazione, la loro!
Nella
notte silenziosa, il calice della mia amarezza era offerto all'Eterno Padre.
E, incuranti, gli amati del mio cuore dormivano!
Su
quel suolo nudo e duro tremai di spavento. Pareva che le mie sofferenze
diventassero fuoco, formassero fiamme che mettevano in ebollizione il mio
sangue.
Il
cuore dava scossoni tali da obbligare il corpo a rotolarsi al suolo e a sudare
sangue.
Sentii
che le mie vene si accavallavano come fili di un gomitolo.
Con
grande dolore si aprirono e versarono sangue che inzuppò la terra.
Sentii
come se avessi la mia veste, bagnata di sangue, incollata al corpo.
Il
sangue gocciolava mentre, stritolata, stendevo le braccia in atto di offerta.
Con
Gesù pregai e sudai sangue.
Con
lui in me, sentivo il suo cuore aperto come se fosse il mio.
Aprivo
il cuore a tutta l'umanità e con Gesù dicevo a tutti:
«Io
sono la Via, la Verità, la Vita».
Vedevo
che dal suo divin cuore aperto, con sofferenza anticipata, Gesù dava da bere
alle anime.
Alcune
si allontanavano da lui, con rifiuto e disprezzo: non volevano neppure toccare
il sangue di Gesù.
Altre
ne bevevano con freddezza e indifferenza, come fosse cosa da poco.
Altre
ancora venivano a berlo con più amore. Ne venivano certe che bevevano con un
amore folle e non volevano cessare di bere.
Ne
venne poi una che oltrepassò tutte e, con una sete insaziabile, bevve, bevve.
Entrò
in lui attraverso la piaga del cuore divino, si perdette in lui: non
ricomparve più.
Il
sangue irrigò la Terra... rugiada feconda, rugiada d'amore.
Doveva
essere, nel corso dei tempi, rugiada di vita e di salvezza per le anime.
Sentivo
che il sangue versato cancellava tutte le macchie del peccato.
Ma,
nello stesso tempo, sentivo e intravedevo da lontano, molto lontano, nuove
macchie, nuovi vizi: non si voleva approfittare di quel mare di sangue, di
quel mare di purificazione.
O
Passione di dolore e di amore di Gesù, che non sei conosciuta!
Mi
vedevo lavare il mondo con il sangue.
E
l'albero della croce fioriva dalla mia parte. Ma subito una sconfitta, la
sconfitta causata dal male, rovinava tutto, fino al tronco.
Le
mie vene erano le radici di questo tronco e, perché non morisse e continuasse a
dare la vita, io dovevo seguitare a soffrire e a dare il mio sangue.
La
sconfitta, la distruzione che la mia anima vide, mi portò all'agonia.
Istintivamente
in me ripetevo: «L'anima mia è triste fino a morirne».
Alcuni
momenti dopo, mi sentii uscita dal sepolcro: la pietra che lo copriva era
rimasta da un lato.
Ero
uscita gloriosa a trionfare su tutte le sofferenze.
Questa
visione di gloria, avuta anticipatamente, non mi diede alcun sollievo.
Nelle
mie mani tenevo il calice, che offrivo all'Eterno Padre.
E
nuovi grovigli di spine vennero ad avvolgere il calice.
Queste
spine emettevano una luce che lo illuminava e lo rendeva splendente.
Ma
tutta la luce e lo splendore salivano al Cielo. All'anima restava soltanto la
notte oscura, silenziosa, triste.
Prostrata
a terra, in un angolo isolato...
Venne
un conforto dal Cielo.
Non
vidi nessuno, ma sentii che dal Cielo discendeva qualcuno venuto a fortificare
la mia anima, a sollevarmi dalla nuda terra, a lenire la mia agonia.
Ma
questa doveva riprendere subito.
Sentii
che a portare sollievo alla mia anima era stato un inviato dall'Eterno Padre.
Ma
il Suo abbandono continuò.
Il
Calvario con la croce non scomparve.
Il
mondo, con la sua malvagità, continuò ad aggravare le sofferenze.
Mi
sentii però più forte per affrontare ciò che mi aspettava.
Mentre
la mia anima sgomenta lottava in quel martirio, sentii come se un canale
discendesse dal Cielo e mi attirasse dentro di sé.
Quel
canale aveva la Vita divina.
E
tutta la mia vita terrena, tutto il mio essere di miserie fu trapassato da essa,
come da raggi di sole splendenti e penetranti.
Che
impasto! La Terra con il Cielo!
Là
nell'Orto, con Gesù agonizzante, vidi gli apostoli riuniti a dormire senza
preoccupazione alcuna.
Gli
apostoli dormivano. Giuda si avvicinava.
Gesù,
con dolcezza e mansuetudine, chiamò gli apostoli per il grande avvenimento:
la
cattura.
Lo
udii esclamare: «Alzatevi, venite! è giunta l'ora».
Sorpresi
dalla voce di Gesù, essi trasalirono.
Era
necessario che venissero a vedere tanto grande amore e tanto grande
ingratitudine, l'uno di fronte all'altra.
Odo
il trambusto della gente, il tintinnio delle armi.
Vedo
il folto gruppo dei soldati e, con loro, un maggior numero di uomini che si
avvici
nano
a Gesù: portano bastoni nelle mani alzate, portano il furore dell'inferno.
Sfinito,
con le vesti intrise di sangue, in una tristezza profonda e quasi senza vita,
Gesù attende.
Vede
avvicinarsi la soldataglia e il traditore.
Sento
che attende il bacio di Giuda con la più grande ripugnanza.
Odo
una voce che, con tutta dolcezza, dice a colui che si avvicina:
«Amico
mio, per che cosa vieni?
è
con un bacio che consegni il tuo Signore? Che male ti ho fatto io, se non
amarti?
è
così che corrispondi?».
E
subito Giuda si fa avanti e bacia Gesù.
Ricevo
sul mio viso quel bacio.
Bacio
tanto crudele!
Eppure
ottenne ancora dalle labbra di Gesù, traboccante di bontà, la dolce parola di
"amico".
O
dolcezza, o amore del cuore divino!
Nello
stesso momento, vedo come un pugnale molto aguzzo che si configge nel cuore divino
di Gesù.
Con
questo pugnale conficcato, Egli va verso la cattura, in mezzo ai maltrattamenti.
Non gli sarà più tolto.
Da
quella grande ferita escono raggi luminosi che diffondono amore.
Sentii
per molto tempo che quel bacio, quella ingratitudine, quel tradimento, si
sarebbero ripetuti lungo tutti i tempi.
Odo
la voce di Gesù: «Chi cercate?
Sono
io, eccomi».
Vedo
i soldati cadere a terra. Odo di nuovo la sua voce: «Vi ho già detto che sono
io. Se cercate me, qui mi avete».
I
soldati avanzano per catturarlo.
Pietro
sguaina la spada e taglia un orecchio ad uno di loro.
Vedo
l'incrociarsi delle spade, vedo le armi dei soldati. Che grande combattimento se
Gesù, con i suoi sguardi divini e con la mano alzata, non sedasse e calmasse
tutto!
Gesù
riattacca l'orecchio, che ha preso nelle sue santissime mani.
Al
vedere questo, Pietro fugge a confondersi tra la folla.
Gesù
opera il miracolo e non rimane traccia di ferita!
Con
quale delicata bontà agisce il Signore!
Ha
rimediato con tanta dolcezza al male fatto da Pietro e con la stessa dolcezza si
consegna ai malfattori, si lascia legare.
Potessi
mostrare la tenerezza, la mansuetudine e l'amore di Gesù verso tutti coloro che
lo offendono!
Non
vi è nulla sulla Terra che si possa paragonare a lui.
Tratto dal libro: "Sofferenza amata" La Passione di Gesù in Alexandrina MimepDocete 1999