L'ORA SANTA COI DEHONIANi
"Memorare
novissima tua et in aetemum non peccabis". Ricordati dei tuoi novissimi
(morte, giudizio, inferno e paradiso) e non peccherai in eterno! Ci ripetevano
una volta i predicatori. Questo principio possiamo applicarlo anche oggi alla
Passione di Gesù. è impossibile contemplare Gesù sofferente nella sua vita
mortale, senza sentirsi spinti a migliorare il proprio stile di vita cristiana.
I santi, in tutti i tempi, hanno praticato e inculcato la devozione ai vari aspetti della Passione: alle cinque piaghe, al s. costato, al preziosissimo sangue...
Gesù
stesso ne ha indicato una a s. Margherita Maria Alacoque: l'ora santa dalle
ore undici alle dodici della notte tra il giovedì e il venerdì, l'ora della
sua agonia nell'orto degli ulivi.
Non
è un'ora di semplice adorazione eucaristica, ma un'ora di mistica unione con
Gesù che agonizza dando inizio alla sua Passione, per comprendere il suo
immenso amore per noi che lo fa andare volontariamente incontro alla morte,
per riempirci di orrore per il peccato, causa della sua agonia, per animarci a
una vita di riparazione per il male commesso da noi e dagli altri.
Non
sono prescritte preghiere speciali: basta unirsi con la mente e con il cuore ai
sentimenti di Gesù. Non è necessario recarsi in chiesa o raccogliersi in un angolo
della propria abitazione.
L'ora
santa la si può fare a qualsiasi ora del giorno e in qualsiasi giorno della
settimana. Anche in un'ora di lavoro, in casa, nel negozio, nell'officina, nei
campi, specialmente se la nostra professione impegna le mani più che la
mente. Purché mentre le mani continuano diligentemente l'opera della
creazione (lavoro), il cuore e la mente contemplino, per quanto possibile,
Cristo agonizzante.
Non
è necessario aiutarsi con un libro, ma intercalare il lavoro con brevi
ardenti aspirazioni, come quelle che indicheremo più avanti.
La
domenica è la Pasqua settimanale. Vorremmo che il giovedì e il venerdì ci
facessero rivivere settimanalmente il ricordo della Passione di Gesù, con tutte
le grazie annesse. Per aiutarvi in questo pio esercizio, vi inviamo un
formulario usato dai Dehoniani da oltre un secolo, perché P. Dehon prescrisse
ai suoi reliiosi l'ora santa settimanale, anche di notte.
L'ora
santa, che Gesù ha domandato alla fedele discepola Margherita Maria, non è
altro che un esercizio di unione con Gesù sofferente. Essa passava in coro la
notte del giovedì santo in unione mistica ai misteri dell'agonia" (ASC.
II, 332). "Con questo esercizio, aggiunge P. Dehon, diventiamo gli angeli
consolatori di Cristo agonizzante nel Getsemani" (Couronnes d'amour,
III, 153).
Infatti
nell'agonia, nel giardino degli ulivi,, con le sue indicibili sofferenze, Nostro
Signore insegna quello che è il peccato, quanto esso opprime l'anima sua
innocente. Egli ci invita ad unirci alla sua agonia, a passare con lui le nostre
sere, l'inizio della notte per consolare il suo Cuore con i nostri sentimenti
d'amore e di riparazione" (DS. pp. 48 e 49), per l'indifferenza,
l'abbandono, l'ingratitudine, la ripulsa degli uomini.
Negli
scritti di s. Margherita Maria, leggiamo che Nostro Signore le disse:
"tutte le notti dal giovedì al venerdì, ti farò partecipare alla mortale
tristezza che io ho voluto subire nell'orto degli ulivi. Essa ti getterà in una
specie di agonia più difficile a sopportarsi della stessa morte. Per unirti
alla mia umile preghiera che presentai allora al Padre, tra le mie angosce, tu
ti alzerai dalle undici a mezzanotte. Durante quest'ora, ti prostrerai con la
faccia per terra implorando misericordia per i peccatori e cercando di
raddolcire, in qualche modo, l'amarezza che io sentii per l'abbandono dei miei
discepoli che mi spinse a rimproverar loro di non aver potuto vegliare neppure
un'ora con me. Durante quest'ora tu farai quello che io t'insegnerò"
(Vie et oeuvres, vol. II, p. 72) V. Hamon nella storia della devozione al S.
Cuore, fa una breve sintesi di questo esercizio, che Dehon tenne in grande
onore (Hamon pp. 207209).
Si
riallaccia alla teologia della consolazione. Dehon, pur richiamandosi alla
pratica e agli scritti di s. Margherita Maria, basa la sua spiritualità riparatrice
di consolazione sulla Bibbia. Nel discorso tenuto per l'adorazione eucaristica
delle quarant'ore (che potremmo considerare un'ora santa prolungata) riallaccia
le sue considerazioni al salmo LXVIII, ver. 21. Ho cercato qualcuno che mi
confortasse e non l'ho trovato, "sustinui qui
simul contristaretur, et non fuit; Et qui consoleretur, et non inveni".
Così
pure, nelle meditazioni proposte nel Thesaurus per l'ora santa (Ed. Tipica
1954, pp. 117132) qui riportate, non si parla mai di s. Margherita Maria, ma si
citano invece il Nuovo e l'Antico Testamento.
P.
Dehon, pur essendo assiduo nella contemplazione amorosa della Passione, non cade
nel dolorismo. Egli sa e scrive che "nel giardino degli ulivi la visione
del peccato fu tanto terribile che (Cristo) ne sudò sangue" (Cuore
Sacerdotale, Favero, Vicenza 1957, pag. 125).
Ma
ben presto la gioia inonda il suo cuore al pensiero pasquale che "nel
sangue versato per noi al Getsèmani e sul Calvario tutti i nostri peccati
furono lavati come in un diluvio di amore" (ivi). Non il dolore, ma l'amore
ha il primato: Amore operoso. La riparazione non è vestita a lutto, come se ci
fosse solo il venerdì santo. è inserita nella gioia pasquale della
risurrezione.
Rivolgendosi
ai suoi lettori, specialmente sacerdoti, Dehon ricorda: "Oh quanto è
fecondo e salutare per un'anima impegnata nell'apostolato, specialmente sacerdotale
questo amore di compassione per Dio! Preghiere, occupazioni, mortificazioni
tutto orienta a questo scopo. Nessuna sofferenza, infatti, è paragonabile a
quella che prova l'anima di un apostolo al pensiero che Dio è offeso, che
l'offesa non è riparata e che le sue anime, perdute per mancanza di
riparazioni, sono fonte di immenso dolore per il cuore di Dio".
Se
si hanno tali sentimenti, allora, secondo quanto aggiunge Dehon, si patisce
veramente con Dio e si è sfiorati dalla tristezza dell'apostolo Paolo:
"Sono profondamente triste e il mio cuore angosciato da un dolore che
non ha fine al punto che vorrei essere anatema per i miei fratelli" (Rm
9, 23).
L'ora
santa deve condurci all'ora dell'apostolato, affinché Dio non amato, sia da
tutti amato.
G.
P.
Misericordiosissimo
Salvatore, noi ci prostriamo ai tuoi piedi, per rispondere all'invito che
facesti ai tuoi Apostoli: «Trattenetevi qui e vegliate con me», e anche per
non dover sentire il tuo dolce rimprovero: «Non avete potuto dunque vegliare
un'ora sola con me?» (Mt 26,40).
Infondi,
o Signore, nel nostro cuore un grande odio all'ingratitudine e al peccato, che
furono la causa delle tue angosce mortali; infondi in noi un grande amore
per te, che, amandoci di infinito amore, hai preso sopra di te i nostri peccati,
allo scopo di dare soddisfazione al Padre, e riconciliarci con lui, mediante
la tua passione.
E
tu, Madre divina addolorata, per gli intensi dolori che ti tormentavano l'anima,
mentre nell'orto angosce di morte opprimevano Gesù, tuo Figlio dilettissimo,
impetra a noi la grazia di pregare con te, di soffrire con te e col tuo Figlio
affinché meritiamo di ottenere copioso il frutto consolante della sua
Passione. Amen.
Antifona:
Gesù venne con i suoi discepoli in un luogo chiamato Getsemani, e disse loro:
«Trattenetevi qui, mentre vado più avanti a pregare».
L.
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo.
R.
Poiché con la tua santa agonia e passione hai redento il mondo.
E
avanzatosi un poco, si prostrò per terra pregando.
II momento è venuto, in cui Dio Padre, secondo le parole del profeta, sta per versare sul suo Figlio tutte le nostre iniquità. Gesù si offre spontaneamente per noi, e il Padre acconsente, per la nostra salvezza, a procedere contro di lui.
Egli
ama tanto il mondo, che dona Gesù per salvarci; e non solamente lo dona, ma
lascia che venga percosso per l'iniquità del suo popolo.
Ma
non basta: per rendere più meritorio il suo sacrificio, glielo fa consumare
nella debolezza dell'umana natura, lascia la sua anima e il suo corpo in lotta
con le debolezze della carne, in faccia alle iniquità del mondo e alle
sofferenze della sua passione. Il Signore volle consumarlo nei patimenti, ha
detto il profeta Isaia. Infine egli stesso lo abbandona, soggiungendo per bocca
del profeta: Nel giorno della prova ti ho nascosto per poco il mio volto.
In
ginocchio, con la fronte china fino a terra, Gesù si offre vittima per i
peccati del mondo. Questa vittima innocente, volontariamente assume su se
stessa le iniquità da espiare e acconsente alla riparazione immensa, che si
richiede. Allora si affacciano dinanzi a lui tutti i delitti degli uomini, dal
peccato di Adamo alle ultime scelleratezze che si commetteranno sino alla fine
del mondo. Gli si presentano tutti, appena acconsente ad assumerli. Egli si
vede a poco a poco oppresso, rivestito di tutte le abominazioni della terra:
empietà, bestemmie, sacrilegi, ingiustizie, turpitudini, apostasie, odii,
gelosie, parricidi. Tutto ciò l'assale e lo pervade; in breve si vede come
immerso in un mare immenso, di cui il suo occhio divino può appena scorgere la
profondità e l'estensione.
L'umanità
di Gesù è aggravata da tutti questi delitti, e la divinità, dinanzi alla
quale gli Angeli stessi con le ali si fanno un velo agli occhi, vuol sottrarsi a
questa abominevole corruzione che s'avvicina e sembra raggiungerla. Come non
potrebbe fremere la sua anima? E' una lotta suprema, un'agonia terribile,
che fa rabbrividire tutto il suo corpo; e fa sgorgare dalle sue membra un
copioso sudore di sangue che scorre fino a terra.
Si
direbbe maledetto dal suo divin Padre, senza cessare di essergli Figlio;
abbandonato dalla divinità, senza cessare di essere Dio: «Per me, io sono un
verme, e non un uomo» (Sal 22,7). Sotto il peso della maledizione
vendicatrice del peccato, non morrà forse Gesù in questa terribile agonia? E
il suo Cuore affranto potrà sopportare un così acerbo dolore? Un miracolo
sembra trattenere la sua anima prigioniera nel corpo; non è che il primo passo:
«Gesù prende su di sé tutte le nostre iniquità», e Dio Padre, per salvarci,
le imputa al Figlio suo; «Egli fece per noi peccato, colui che non conobbe
peccato». (2 Cor 5,21).
E
dopo un'ora di agonia, il Salvatore si alza e va dai suoi Apostoli e lì trova
addormentati.
Qui
contempliamo il divin Salvatore, tutto oppresso dalla tristezza e dallo
spavento, sfigurato, vacillante e quasi incapace di sostenersi. Si direbbe che
vada a cercare un amico che ascolti il racconto dei suoi dolori; un'anima che
partecipi alla sua tristezza.
Sì,
egli cerca un'espansione d'amicizia; è come spinto ad andare a trovare coloro
che ha chiamati non suoi servi, ma suoi amici; in fretta, si dirige verso i suoi
Apostoli per chiedere consolazione e aiuto. Il suo sguardo si posa su loro, ma,
purtroppo, si vede solo, giacché essi dormono. Li sveglia, ma essi hanno paura
di lui e a stento lo riconoscono: così incerto è il suo passo, così
contraffatto dal dolore e dall'abbattimento è il suo aspetto.
Non
sanno dire a Gesù una parola di conforto, anzi, è necessario che egli stesso
li rianimi! E dopo averli benevolmente rimproverati di non aver vegliato con
lui, li lascia dicendo: «Vegliate e pregate, affinché non entriate nella
tentazione. Lo spirito veramente è pronto, ma la carne è debole» (Mt 26,41).
O
Gesù, nostro adorabile Salvatore, eccoti dunque carico di tutte le nostre
iniquità. Il tuo Padre celeste non le imputa più a noi, ma a te, suo
dilettissimo Figlio. O amore di Dio Padre, quanto sei grande! Tu abbandoni
il tuo Figlio, perché s'immoli per noi ingrati e colpevoli. E tu, o Gesù, che
ti offri al Padre, vittima per soddisfare la sua giustizia, eccoti schiacciato,
stritolato sotto il peso delle nostre iniquità. Potremo noi rimanere
insensibili a tanta bontà? Si spezzino i nostri cuori dal dolore di aver
contribuito all'immolazione dell'adorabile vittima, siano compresi da un
grande orrore al peccato e da una vera riconoscenza per tanto amore. Infondi, o
Gesù, queste disposizioni nei nostri cuori, te lo chiediamo per i meriti di
quel profondo dolore, che ti ha cagionato la vista di tutte le nostre iniquità.
Noi pure, come i tuoi Apostoli, ci siamo addormentati, non pensando al tuo
abbandono nel Sacramento dell'amore. Perdona, o Gesù, se siamo stati tanto
insensibili e infedeli! Fa' che per l'avvenire noi possiamo sempre vegliare,
gemere e pregare con te, essere fedeli e generosi. Te lo domandiamo per i
meriti di quell'acerbo dolore, che hai provato nel vederti abbandonato dai tuoi
Apostoli. Amen.
L,
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo.
R.
Poiché con la tua santa agonia e passione hai redento il mondo.
Antìfona:
Si allontanò per la seconda volta e pregò.
Ancora tutto compreso dall'orrore per le prime visioni, Gesù è tosto assalito dallo spavento di quelle che vede ora avanzarsi. La sua natura freme e si turba; torna a prostrarsi con la faccia per terra e considera la bellezza dell'anima umana prima del peccato di Adamo, e il misero stato, in cui la ridusse la sua colpa. Vede il torto che ha fatto a se stessa e l'ingiuria fatta a Dio, e si offre a compiere la riconciliazione; Vittima pura, senza macchia, egli soffre tutto ciò che domanda l'infelicità di quest'anima, imbrattata dalla colpa.
Ma,
a che servirà il suo sacrificio? Non vede egli che un gran numero di anime da
redimere si lasciano trascinare nuovamente verso il male, come per una china
irresistibile, malgrado i soccorsi e i meriti del suo sangue versato? Egli
vorrebbe salvarle, vuol morire per esse, e non può strapparle alla
dannazione. E questa Chiesa, di cui ha già gettato le fondamenta, egli la vede
attraverso i secoli sempre in preda alle persecuzioni e alle eresie; la vede
soffrire, da parte dei propri figli, strazi più crudeli e lacrimevoli delle
persecuzioni.
Egli
stesso si vede, nel corso dei secoli, assai poco amato, spesso oltraggiato e
vilipeso nel sacramento del suo amore. Quanti figli ingrati lo misconosceranno!
Quanti sacerdoti indegni o poco penetrati della grandezza dei santi misteri!
Quante comunioni fatte per abitudine, senza preparazione e senza frutto! Tutti
questi pensieri opprimono e lacerano il suo Cuore amatissimo. Egli, che tanto ci
ama, vedersi così poco amato! Egli, che vuol salvarci, numerare tanti tradimenti!
Un copioso sudore di sangue gronda da tutto il suo corpo; e mentre a intervalli
un singhiozzo erompe dal suo petto oppresso, ripete la sua preghiera: «Padre,
se è possibile, si allontani da me questo calice: tuttavia si faccia la tua
volontà, non la mia» (Lc 22,42).
Oppresso
da quest'angoscia inesprimibile, Gesù si rialza pallido e affranto, simile a un
uomo che non può più a lungo sopportare la vista di uno spettacolo straziante;
si dirige ancora una volta verso gli Apostoli, i quali, accasciati dalla
tristezza, desolati nel sapere il loro Maestro in uno stato così deplorevole,
cercano nel sonno una tregua alla loro afflizione. «E andò una seconda volta e
li trovò addormentati» (Mt 26,43).
Il
divin Salvatore vede bene quante preoccupazioni terrene racchiudono i loro
cuori; conosce la vera causa del loro spavento e della loro tristezza e quanto
sia poco quell'amore, vero e disinteressato, che poggia sulla fede viva, sulla
confidenza illimitata e che esclude l'interesse personale. Ma no, in quest'ora
egli non può avere alcuna consolazione, e, mentre il Padre suo si mostra
inesorabile e gli porge il calice dell'amarezza, i suoi Apostoli gli
presentano l'immagine vivente di tanti cristiani che l'ameranno solo nella
consolazione e nella prosperità, e si mostreranno timidi, esitanti, quando
si presenterà loro sotto l'aspetto austero del dovere e della prova.
Anche
l'abbattimento e il dolore penetrano sempre più nell'anima sua; egli vuol
ritornare sui suoi passi, per rasserenarsi nella preghiera.
O
Gesù, nostro amabile Salvatore, potremmo noi restare insensibili a questa
lotta, che ti ha ridotto a uno stato di inesprimibile dolore? Al ricordo di
tante sofferenze, rendi sensibili i nostri cuori; fa' che i nostri occhi
versino giorno e notte lacrime abbondanti sulle nostre ingratitudini e su quelle
per te tanto più strazianti, perché commesse dalle anime predilette. Malgrado
la nostra miseria, ci sia dato d'immolarci per te, come tu ti sei immolato per
nostro amore; fa' che possiamo, o Gesù, risarcire il tuo Cuore adorabile di
tante ingratitudini con l'amore, la fedeltà e la generosità nel tuo
servizio. Ti domandiamo questa grazia, o Gesù, per i meriti di quel sudore di
sangue che ti ha cagionato la vista dell'ingratitudine delle anime.
Quale
dolore deve averti colpito nella tua seconda visita agli Apostoli! Eccoti ancora
obbligato a ritirarti, senza aver ricevuto da essi una parola di consolazione
né aver fatto loro comprendere il tuo intimo spasimo. quante volte anche dal
tuo tabernacolo ci hai manifestato il tuo abbandono, i tuoi dolori, la tua
tristezza nella divina Eucaristia! Ma i nostri cuori tiepidi e rilassati non
ti hanno compreso o non hanno voluto ascoltarti. Perdona, Signore, se siamo
stati sordi alla tua voce: fa' che per l'avvenire siamo più generosi, più
fedeli e devoti, ascoltandoti nella tristezza come nella gioia, amandoti
unicamente per te e non per i tuoi favori. Amen.
L.
Ti adoriamo, o Cristo, e ti benediciamo.
R.
Poiché con la tua santa agonia e passione hai redento il mondo.
Antifona:
E lasciatili, andò di nuovo a pregare per la terza volta (Mt 26,44).
L'agonia e l'afflizione aumentano nel Cuore di Gesù col passare del tempo. Tutto ciò che egli deve soffrire, s'affaccia in questo momento al suo sguardo e al suo pensiero. Vede anticipatamente la sua passione con tutti i suoi orrori; tutte le sue sofferenze e i suoi dolori, dal bacio di Giuda fino all'ultimo respiro, gli si affacciano, s'incalzano, s'avvicinano, come se già l'opprimessero. Egli ne è spaventato, freme, sospira, e lotta. «Il sudore divenne come gocce di sangue che cadevano per terra» (Lc 22,44). Quale lotta, che combattimento fra la natura che piega e l'amore per le anime! «Padre mio, esclama, se è possibile, s'allontani da me questo calice» (Mc 14,36).
Ma
non vede egli col suo sguardo divino il limbo spalancarsi davanti ai suoi occhi,
e tutte le anime che vi si trovano rinchiuse, presentarsi a lui, come per
supplicarlo a non indietreggiare davanti al sacrificio, a non lasciarle più a
lungo prigioniere, lontane da Dio, in quel carcere ove languiscono? Non vede
egli tutti i martiri, i confessori, le vergini, in una parola, tutti i santi,
che dovranno un giorno santificare le loro azioni con i meriti della sua
passione, comparire a lui dinanzi rifulgenti d'ammirabile bellezza, ciascuno
secondo il suo grado e i suoi meriti? Questa paradisiaca visione si spiega al
suo sguardo e la sua anima ne è rapita, poiché egli ama le anime ed è pronto,
ove occorra, a soffrire per una sola tutto ciò che deve soffrire. Ma il
calice è amarissimo e il Padre glielo porge continuamente; bisogna che egli lo
beva sino alla feccia, senza lasciare una goccia: «Padre, esclama, la tua
volontà si faccia, non la mia» (Lc 22,42).
Ed
ecco gli appare un Angelo per confortarlo (Lc 22,43). Dalla sua persona,
improvvisamente rischiarata, irraggia vivissima luce. Dov'è il sudore di sangue
che poco prima lo ricopriva? Come si spiega questo coraggio tranquillo e
sereno che si mostra in tutta la sua persona? Egli ha accettato il calice, dopo
averne gustato tutta l'amarezza e compreso anticipatamente l'ignominia; ha
riportato vittoria sulla debolezza della sua natura umana: il desiderio, la
sete di riscattare e salvare le anime sta per essere soddisfatta. Fra breve il
suo sacrificio sarà consumato. Ancora pochi istanti, e spunterà il giorno
tanto sospirato: poche ore ancora, e il suo sangue ci acquisterà meriti infiniti:
le nostre anime saranno redente.
Un'ultima
volta Gesù ritorna dai suoi Apostoli: non vacilla; il suo passo è sicuro. I
suoi Apostoli sono addormentati; li sveglia e rivolge loro queste amorevoli
parole: «Alzatevi, andiamo! Ecco già è vicino colui che mi tradisce!» (Mt
26,46).
Gli
Apostoli lo seguono, e con lui vanno verso il traditore che s'avanza con
un'audacia infernale alla testa di una schiera di soldati e guardie armate.
Gesù cammina con tanta calma che si direbbe vada incontro a un benefattore e
non a un traditore, a un amico e non a un nemico. E veramente egli l'aveva
scelto perché fosse del numero dei suoi amici; ma il miserabile ha abusato
delle tenerezze del suo Maestro, i suoi benefici non sono riusciti che a farlo
precipitare nell'abisso. Ha venduto Gesù, e ora lo tradisce con un bacio!
Gesù
adunque, sapendo che cosa gli stava per succedere, andò loro incontro e
disse: «Chi cercate?». Risposero: «Gesù di Nazaret». Egli disse: «Sono io»
(Gv 18,45).
A
queste parole, quei disgraziati cadono per terra. «Chi cercate?», domanda loro
ancora. «Gesù di Nazaret». «Sono io, ve l'ho detto».
Allora
Giuda si avvicina a Gesù: «Ti saluto, o Maestro», e lo bacia.
Gesù
riceve il bacio deicida e gli dice: «Amico, a che sei venuto? Con un bacio
tradisci il Figlio dell'uomo!». L'accento di questa parola, piena di tenerezza
e di perdono, avrebbe spezzato il cuore più duro. I traditore invece rimane
insensibile e guarda i soldati che, al segnale convenuto, si gettano sul
Maestro, lo afferrano, lo legano, lo trascinano via, dando così principio
alla lunga serie di oltraggi, di brutalità, d'indegni trattamenti e di
supplizi, di cui è composta la passione del Salvatore.
L'Agnello
di Dio è nelle mani dei suoi barbari nemici. Essi concentrano su lui tutti
gli odii, tutte le crudeltà. Il sacrificio abbracciato dal Figlio, accettato
dal Padre, comincia ora al Getsemani, per terminare domani sul Golgota.
«Egli
nei giorni della sua vita mortale, avendo innalzato preghiere e suppliche con
forte gemito e lacrime a chi poteva liberarlo da morte, ed essendo stato
esaudito per la (sua) pietà, imparò, quantunque Figlio, per le cose patite,
l'obbedienza, e, reso perfetto, divenne, per tutti coloro che l'obbediscono,
principio di eterna salvezza» (Ebr 5,710).
O
Gesù, nostro divin Salvatore, hai dunque accettato il sacrificio; il tuo
amore per noi è troppo grande perché possa indietreggiare dinanzi ad alcun
dolore. Potremo noi rifiutarti qualche cosa? Potremo non avanzare a grandi passi
nella via del sacrificio per consolare il tuo divin Cuore, mostrandoti nelle
anime nostre l'efficacia della tua redenzione?
Accordaci
di seguire da vicino le tue orme nella via dell'immolazione e del sacrificio,
affinché dopo averti amato, imitato, seguito qui in terra, possiamo avere la
felicità di godere eternamente con te i meriti che ci hai procurati, venendo
quaggiù a vivere, soffrire e morire per salvarci. Amen.
•
Popolo mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ti ho guidato fuori dall'Egitto, e tu hai preparato la croce al suo
Salvatore.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Perché ti ho guidato quarant'anni nel deserto, ti ho sfamato con manna,
ti
ho introdotto in paese fecondo, tu hai preparato la croce al tuo Salvatore.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Che altro avrei dovuto fare e non ti ho fatto? Io ti ho piantato, mia scelta e
florida vigna, ma tu mi sei divenuta aspra e amara: poiché mi hai spento la
sete con aceto, e hai piantato una lancia nel petto del tuo Salvatore.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io per te ho flagellato l'Egitto e i primogeniti suoi, e tu mi hai consegnato
per esser flagellato.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ti ho guidato fuori dall'Egitto e ho sommerso il faraone nel Mar Rosso, e tu
mi hai consegnato ai capi dei sacerdoti.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ho aperto davanti a te il mare, e tu mi hai aperto con la lancia il costato.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ti ho fatto strada con la nube, e tu mi hai condotto al pretorio di Pilato.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ti ho nutrito con manna nel deserto, e tu mi hai colpito con schiaffi e
flagelli.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
Io
ti ho dissetato dalla rupe con acqua di salvezza, e tu mi hai dissetato con
fiele e aceto.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io per te ho colpito i re dei Cananèi, e tu hai colpito il mio capo con la
canna.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ti ho posto in mano uno scettro regale, e tu hai posto sul mio capo una
corona di spine.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
•
Io ti
ho esaltato con grande potenza, e tu mi hai sospeso al patibolo della croce.
Popolo
mio che male ti ho fatto?
In
che ti ho provocato? Dammi risposta.
Tratto
da: "PAPA GIOVANNI COLLEGIO MISSIONARIO S. CUORE Via Barletta
Barbadangelo 70031 ANDRIA (BA) c.c.p. 5702